_Ghéyssar Aminpour
a cura di Farideh Mahdavi-Damghani
Nato nel 1959 a Shushtar, nella provincia di Khuzéstân, nel sudovest del paese, Ghéyssar Aminpour è stato una delle voci più autorevoli della poesia iraniana contemporanea, il cui accento fortemente spirituale avvolge tutti i temi e i tempi della vita, come nella grande cultura sciita a cui appartiene, pervasa dall’attesa dell’ultimo discendente del venerabile Profeta. Una poesia anche nostalgica e dolorosa, in cui il poeta cerca sempre di avvicinarsi al linguaggio popolare e alla responsabile mentalità semplice dei poveri. Nel 1984 pubblicò la raccolta Nelle strade del sole e subito dopo Il respiro del mattino e Gli specchi dell’improvviso affermando cosí in maniera decisa la sua posizione di poeta rivoluzionario. Cofondatore dell’Organizzazione dell’Arte e del Pensiero Islamico Persiano, professore di Letteratura Persiana presso l’Università di Teheran, era anche un critico letterario molto accreditato (specialmente rivolto ai giovani poeti), uomo molto amato dai suoi studenti e dalla gente, un punto di riferimento della cultura iraniana – anche per la sua libertà da qualunque implicazione politica – e della città di Teheran, i cui mezzi pubblici il giorno della sua morte hanno viaggiato coi segni a lutto. Ghéyssar Aminpour è morto prematuramente il 30 ottobre 2007, dopo otto anni di sofferenze per le lesioni mai recuperate di un gravissimo incidente stradale. In italiano è apparsa una scelta di suoi testi tradotti da F. Mahdavi-Damghani su «Città di Vita» (2-3/2008).
Il Tempo è nostro figlio. Infatti, non siamo noi, i figli del Tempo. Il Tempo è la nostra ombra, e inizia da sotto i nostri passi, e poi ci segue. Perché lui è il Movimento, quindi il “nome” del Movimento è la sua volontà. E nessuno ha il nome di un’altra persona! Se crescere e sbocciare hanno voce, lo stesso ritmo della “crescita” è il ritmo di “essere” e “diventare”. La voce che percorre un “Dinggg....!” e arriva l’“immortalità”... [in persiano le due parole sono in rima (n.d.t)]. Il ritmo del viaggio, da quando siamo solo un granello, fino al momento in cui diventiamo un frutto maturo... La musica della crescita e di essere sbocciati. Il Tempo, è nato da noi. Dal primo passo che facciamo, il nostro “Tempo” ha inizio. Perché il Tempo non è nient’altro che la traccia dei nostri passi nel nostro viaggio e percorso. Le tracce dei nostri passi, nella strada interiore, si chiamano “Tempo”, e le tracce dei nostri passi nella strada esteriore si chiamano “Luogo”, ed è chiaro che le tracce dei passi si formano “dopo” i passi, e non prima...
Giugno 2007
[Nota del curatore] Questa riflessione è l’ultima prosa scritta da Ghéyssar Aminpour prima della sua scomparsa. Naturalmente, sapendo il poeta che di “tempo” gliene sarebbe rimasto ben poco, alla sua disponibilità e responsabilità vogliamo offrire il più caro rispetto, oltre all’onore di aver voluto il poeta stesso pubblicare in Italia questo suo testamento poetico, ancora inedito, secondo la sua volontà, e molto atteso dagli amici poeti e colleghi in Iran.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Jacques Ancet
a cura di Fabio Scotto
Jacques Ancet è nato a Lione nel 1942. Professore di spagnolo, è autore di una trentina di opere di poesia, prosa e saggistica e d’importanti traduzioni da Giovanni della Croce, Ramón Gómez de la Serna, Jorge Luis Borges, José Angel Valente, Antonio Gamoneda, Juan Gelman, María Zambrano e vari altri autori, oltre che di saggi su Luis Cernuda e Bernard Noël. Tra sue raccolte recenti ricordiamo Un morceau de lumière (Voix d’Encre, 2005), Dyptique avec une ombre (Arfuyen, 2005), Entre corps et langage (L’idée bleue/Écrits des Forges, 2007). Ha ricevuto il “Prix de Poésie Charles Vildrac” 2006 della Société des Gens de Lettres, “Heredia” 2006 dell’Académie Française, e il “Prix Nelly-Sachs 1992” e il “Prix Rhone-Alpes” per la traduzione.
Una data
Bisognerebbe finirla con le date. Per esser qui, semplicemente. Con l’ora come un respiro sospeso – o quel chiarore improvviso e le ombre che disegna. Quella della mano, ad esempio, occupata in minuscoli gesti. Li notiamo appena. Un lieve mangiucchiare e, tutt’intorno, il rumore del giorno. La sua bellezza, la sua angoscia. Ancora una volta taccio, conto con le dita, calcolo a mente:
– Sarà presto un anno.
– Sì, un anno.
– Una data, non il presente.
– Quel che ne resta.
– Non abbiamo visto nulla.
– Non c’era nulla da vedere.
– Allora cosa?
– Da vivere.
Le parole cadono. Come la pioggia. Non formano pozzanghere. Qualche macchia di saliva. Brillano.
Da Cronaca di uno smarrimento, inedito.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Bernardo Atxaga
a cura di Paola Tomasinelli
Bernardo Atxaga (pseudonimo di Joseba Irazu) è nato nel 1951 a Asteasu, Guipúzcoa, ed è considerato il più importante scrittore in lingua basca e uno dei più grandi autori dell’attuale narrativa spagnola. È giornalista – scrive su giornali e periodici spagnoli e sul “New York Times” –, autore di oltre duecento favole per bambini, compositore musicale, saggista e poeta. Il suo primo racconto Ziutatez fu pubblicato nel 1976 e la sua prima raccolta poetica, Etiopia, nel 1978: per entrambi ricevette il Premio Nazionale della Critica come migliori lavori in lingua basca. Ma è con il romanzo Obabakoak (da cui è stato tratto l’omonimo film di Montxo Armendáriz) che la sua fama supera i confini dei Paesi baschi e della Spagna, e viene tradotto in oltre 25 lingue, tra cui l’italiano, presso l’editore Einaudi (1991). Scrive e pubblica in lingua basca, ma spesso i suoi libri, tradotti da lui stesso, escono anche in lingua castigliana. In italiano, oltre alle traduzioni apparse nel 1991 sulla rivista Linea d’ombra (come in molte altre riviste in tutto il mondo), sono stati inoltre tradotti: L’uomo solo (Giunti, 1995), Dall’altra parte della frontiera. Poesie e ibridi (Guanda, 2003), Il libro di mio fratello (Einaudi, 2007, Premio Mondello 2008, Premio Grinzane Cavour 2008).
Come la cerimonia, la poesia taglia il corso della vita normale e crea un tempo differente. Nella cerimonia, gli artefici della trasformazione sono i gesti, il movimento, la musica, il linguaggio; nella poesia solo il linguaggio.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Martha Canfield
a cura di Valerio Nardoni
Martha Canfield, nata a Montevideo nel 1949, da madre italiana e padre di origine inglese, è professore ordinario di Lingua e Letteratura Ispanoamericana presso l’Università degli Studi di Firenze, scrive in spagnolo e in italiano. Ha curato in italiano molte opere di autori ispanoamericani, tra cui M. Benedetti, J. E. Eielson, A. Mutis, e in spagnolo autori italiani quali Pasolini, Sanguineti, Bufalino. È autrice di quattro raccolte di versi in spagnolo: Anunciaciones (1977), El viaje de Orfeo (1990), Caza de altura (1994), Orillas como mares (2005), e quattro in italiano, Mar/Mare (1989), Nero cuore dell’alba (1998), Capriccio di un colore (2004) e Per abissi d’amore (2006). È consulente per la poesia italiana del Festival Internazionale di Poesia di Medellín (Colombia) e membro della giuria del Premio Internazionale di Poesia Pier Paolo Pasolini. Ha ricevuto il Premio Speciale di Poesia «La Cultura del Mare» (2000), il Premio di Traduzione «Circe-Sabaudia» (2001), un Premio di Traduzione dell’Istituto Cervantes per Inventario di Mario Benedetti (2002), e il Premio all’Opera Poetica e Culturale del Festival Internazionale di Poesia di Tetova (Macedonia, 2005).
Nell’impossibile e costante soglia fra Tempo e tempo
Il tempo del vissuto che attraversa le soglie del passato e si trasfigura in Tempo senza computo mi si presenta spesso nelle vesti di un allievo di oggi – un oggi ciclico e costante, visto che è accaduto più volte nel passato – che rievoca uno di ieri, il primo, la scoperta, l’archetipo. L’ho descritto almeno due volte nella mia poesia: una volta coi capelli biondi, un po’ lunghi; un’altra con gli stessi capelli biondi ma «furiosamente corti», con lo sguardo ossessivo oppure malinconico, uno fra tanti, seduto sempre tra gli altri, che riconosco diverso dai suoi predecessori eppure sono convinta che sia il solito. Ne ho la prova quando analizzo quell’epiteto omerico che io preferisco, «il domatore di cavalli», e lui mi sorride: allora l’intesa si crea tra di noi, e io sento che sia uguale, anzi la stessa che si era creata l’anno scorso, e l’anno precedente ancora, e ancora, in una vertigine esaltante... Il Tempo si distende e mi culla tra le sponde di tempi distanti che si toccano, nell’aria tiepida di aprile, e mi rassicura, e mi accoglie nello spazio del sogno, nel tempo di Utopia: tu torni oggi e io sono come ieri e domani vive già nella memoria dolce dei tempi convissuti.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Antonio Carvajal
a cura di Valerio Nardoni
Nato a Albolote (Granada) nel 1943, ha esordito con Tigres en el jardín (1968), a cui sono seguiti Serenata y navaja (1973), Casi una fantasía (1975), Siesta en el mirador (1979), Servidumbre de paso (1982), Extravagante jerarquía (1982), Del viento en los jazmines (1984), De un capricho celeste (1988), Testimonio de invierno (1990), Miradas sobre el agua (1993), Raso milena y perla (1996), Alma región luciente (1997), Columbario de estío (1999), Diapasón de Epicuro (2004), Los pasos evocados (2004) e Una canción más clara (2008); i libretti d’opera Mariana en sombras, con musica di Alberto García Demestres, e Don Diego de Granada (2004), i volumi di saggi De métrica expresiva frente a métrica mecánica (1995) e Metáfora de las huellas - Estudios de métrica (2002), e le edizioni commentate dei Sonetos de Azul a Otoño di Rubén Darío (2004) e Poemas mágicos y dolientes di Juan Ramón Jiménez (2005); in collaborazione con Juan Ramón Torregrosa, le antologie Hoy son flores azules e Mañana serán miel (La tradición oral en la Generación del 27). Tra le sue antologie personali si ricordano in particolare Rapsodia andalusa (1995) e Poemi di Granada e altri versi (2005) tradotti in italiano da Rosario Trovato e Si proche de Grenade (2005, París, Seghers). Attualmente dirige la Cattedra García Lorca dell’Università di Granada, dove è professore ordinario di Metrica.
Entrato già da anni nell’età che i classici chiamano provetta, il passo veloce del tempo mi impedisce di trattenerlo per riflettere sul Tempo. Detto in altro modo, avendo letto le riflessioni da Eraclito a Bergson, sarei più vicino a Agostino se non fosse perché, fedele alla tradizione spagnola fissata dal poeta Jorge Manrique, anch’io do già per passato il non venuto. In altre parole, l’acuta percezione della fugacità della vita ha fatto sì che io mi installassi nel vissuto senza preoccuparmi di fissarlo in quella cattiva coscienza chiamata memoria; ho così l’intima sensazione di vivere il tempo in modo speculare rispetto all’adolescenza, e questo mi permette di vedere la mia vita in un’immagine virtuale inversa, come un Narciso che, invece di avvicinarsi all’acqua, se ne allontanasse.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Bernard Chambaz
a cura di Fabio Scotto
Bernard Chambaz è nato a Boulogne-Billancourt nel 1949, ha compiuto studi di lettere moderne ed è professore di storia al Lycée Louis-le-Grand di Parigi. Figlio di Jacques Chambaz, dirigente di spicco del Partito Comunista Francese negli anni ’70, la sua opera è caratterizzata da un’intensa e appassionata riflessione storico-politica (L’Humanité (1904-2004), Seuil, 2004), da racconti di viaggio (Petit voyage d’Alma-Ata à Achkhabad, ivi, 2003; A mon tour, ivi, 2003), da saggi sull’arte (Le Principe Véronèse, la Sétérée, 1987; La Dialectique Vèronèse, ivi, 1989, Œil noir (Degas), Flohic, 1999) ed è segnata dal grave lutto per la perdita del figlio adolescente Martin (Martin cet été, Julliard, 1994). Appassionato sportivo, ha praticato il ciclismo effettuando in solitaria un Tour de France, un Giro d’Italia (Evviva l’Italia: ballade, Panama, 2007, trad. it: Ponte alle Grazie, 2008) e un Giro di Spagna. Tra i suoi nove romanzi ricordiamo L’Arbre des vies (F.Bourin-Julliard, 1992, “Prix Goncourt” per l’opera prima) e, presso Panama, i recenti Kinopanorama (2005) e Yankee (2008, “Prix Louis-Guilloux”). Molto legato all’Italia, è autore di sette raccolte poetiche, tra le quali Italiques deux (Seghers, 1992), e, tutte da Flammarion, Entre-temps (1997), Échoir (1999), Été (2005, “Prix Apollinaire”). In italiano suoi testi tradotti a cura di F. Scotto in «Hortus» (21/1988) e in Nel pieno giorno dell’oscurità. Antologia della poesia francese contemporanea (a cura di F. Pusterla, Marcos y Marcos, 2000).
Da dove ricominciare, ripartire, il problema davvero non si pone. Riparto dal solo punto possibile, tu, piccolo m-pescatore, si riparte insieme all’assalto del canto sesto, quindi ricomincio a contare come la principessa araba delle Mille e una notte e dei cinque primi canti e ricomincio a contare come i bambini al corso di aritmetica quando fanno le operazioni e anche se la cosa ti lascia piuttosto indifferente ti annuncio che siamo già al quattromilacinquecentottantatreesimo giorno e altrettante notti e se contate i secondi e moltiplicate il tutto avete una vaga idea di tutto il tempo che si può passare pensando a lui e avete una vaga idea di quanto tempo sia passato da che non è più qui, e so bene che riprendo la poesia per ritornare quanto più vicino possibile a te umanamente con le parole al loro posto mai fisso e che il tempo salvo che in poesia davvero non passa più.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Daniela Crasnaru
a cura di Oana Bosca Malin
Daniela Crasnaru, nata a Craiova nel 1950, è considerata uno dei poeti contemporanei romeni più rilevanti della sua generazione. La sua opera, che comprende 15 volumi di poesia, 2 volumetti di prosa e 3 libri per i ragazzi, è tradotta in oltre 15 lingue. Nel 1991, la casa editrice Oxford ha pubblicato una sua raccolta di poesie Letters from Darkness, nominata fra i primi 10 titoli apparsi in quell’anno in Gran Bretagna. L’ampia antologia Sea-Level Zero apparsa nel 1999 negli Stati Uniti presso BOA Editions nella collezione “grandi Poeti Europei”, è stata insignita del premio dell’Accademia di Poesia americana ed è diventata oggetto di studio nelle università americane. Laureata in filologia inglese, ha fatto studi approfonditi di management culturale presso l’Iowa University (SUA). Daniela Crasnaru è editrice, giornalista, realizzatrice di programmi tv. Ha ricoperto per alcuni anni l’incarico di deputato nel Parlamento Romeno, è stata segretario della Commissione per la Cultura dello stesso, ed inoltre, l’unica donna presidente di un partito parlamentare. Altri premi: Premio della Fondazione Rockefeller (1995), Crossing Bounderies Award (1996) Premio dell’Accademia Romena (1992), tre premi accordati dall’Unione degli scrittori Romeni (1979, 1982, 1983).
Nel passato a quelli che soffrivano di pressione alta venivano aperte le vene affinché si placasse un po’ l’impeto del sangue. Ho sempre immaginato il poeta come un simile malato che, a causa della troppo grande tensione interiore, deve aprirsi da solo le vene nelle quali scorrono le parole. Una terapia che ti aiuta a vivere normalmente accanto agli altri, liberandoti dal troppo pieno che ti porti dentro. Il tempo della poesia è l’intervallo tra due battiti di un cuore indistruttibile. Non può essere misurato con nessun apparecchio terrestre. L’involucro d’argilla del poeta muore, ma le parole restano, continuano a pulsare sulla carta sulla quale sono state scritte “guarendo” in aeternum colui che legge dallo stesso impeto del sentire.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Fabrizio Dall’Aglio
Fabrizio Dall’Aglio è nato a Reggio Emilia nel 1955. Ha pubblicato: Quaderno per Caterina (1984), Versi del fronte immaginario (1987), L’idolo sorridente (1994), Hic et nunc (presentazione di Mario Luzi, 1999, premio Montale e premio Il Ceppo Proposte; traduzione spagnola a cura di Sarah Pelusi, 2008), La strage e altre poesie (a cura di Valerio Nardoni, 2004, premio Città di Penne), L’altra luna (presentazione di Mario Specchio, 2006, premio Camposampiero e premio Caput Gauri).
Molti cominciano scrivendo poesie, alcuni ci finiscono.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Ulrike Draesner
a cura di Camilla Miglio
Ulrike Draesner, nata a Monaco nel 1962, attualmente vive e lavora a Berlino come narratrice, poeta e saggista. La sua prima raccolta poetica gedächtnisschleifen appare nel 1995, a cui seguono für die nacht geheuerte zellen (2001), kugelblitz (2005), berührte orte (2008); il romanzo Spiele (2005) e il libro di racconti Hot Dogs (2004). È traduttrice di poesia dall’inglese – Hilda Doolittle, Louise Glück, e la raccolta completa dei sonetti di Shakespeare (To change the subject, 2000) –, si occupa di progetti on-line e multimediali, ed ha condotto molti interventi in Germania e all’estero come Visiting professor (Kiel, Birmingham, Bamberg, Leipzig). Per la sua opera sia in prosa sia in poesia ha ottenuto numerosi riconoscimenti fra i quali il Premio della Critica (2002) e il Drostepreis (2006).
Cos’è una poesia – oggi?
Ornamento, passatempo, un quickie nella ridda di informazioni, un assaggio di sentimento? Anacronistico, o accelerato, un breve brano di canzone d’altri tempi?
Forse non si deve domandare che cosa una poesia potrebbe essere, ma come a un certo punto qualcosa diventa una poesia.
Qui c’erano: un viaggio. Il ricordo di questo. Troppi colori forse – fino al punto della trasformazione: trans lucenti. Una parola estranea al tedesco: trans e lucere – passaggio attraversato dalla luce. Ciò che riverbera – come ventagli (delle ali dei gabbiani, spruzzate), come un pezzo di pelo che si disperde. Impostati con la parola “impressi”: imprimere qualcosa, premere – esercitare una pressione. Anche: Senza. Forse: senza nient’altro che il ricordo.
Essere insieme, ensemble. Un rosso appare, lieve. Anche cercare, mettere insieme, permettendo alle parole di stampare una copia di sé sui loro vicini, su altre parole nella poesia, pure distanti – lievi, ma percepibili nello spazio: dico fino a quando non si forma un’atmosfera. Solo allora la luce si diffrange – solo allora si dispiegano i colori.
Impressione e ingestione: colore è ciò che la materia restituisce e riverbera.
Che gli occhi si possano aprire ancora – una seconda volta, prego – una terza.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
HouShang Ébtéhâj
a cura di Farideh Mahdavi-Damghani
Nato nel 1927 a Rasht, nel nord dell’Iran, nella provincia di Ghilân, vicina al mare Caspio, Houshang Ébtéhâj (noto col suo pseudonimo Ombra), durante i conflitti politici degli anni 50 dell’Iran, si inclinò verso la poesia popolare. La sua prima raccolta di poesie (I primi canti) fu pubblicata nel 1946 quando era ancora al liceo. Cinque anni dopo, pubblicò Miraggio e nel 1953 Gli esercizi di calligrafia – attività fondamentale nella scrittura araba, in cui si riempiono quaderni interi fino a farli diventare interamente neri per capire e abbellire la propria scrittura – e un’altra raccolta, L’alba, in cui si avvicinava molto alla poesia classica persiana. È un poeta che cerca sempre di offrire una nuova voce, un nuovo senso, maturo e tuttavia semplice alle verità fondamentali. La sua poesia spazia dallo stile tradizionale della poesia persiana, allo stile nuovo della poesia moderna, nella quale tenta di infondere serietà e colore insieme. Altre raccolte di rilievo sono: Terra (1955), Qualche foglio di Yaldâ (1965) – Yaldâ è il solstizio d’inverno, in Persia festeggiato; e, pubblicate nello stesso anno 1980, le raccolte Gli esercizi di calligrafia 1, 2 e 3, e Lo specchio dentro lo specchio (introduzione di M. R. Shafi’i Kadkani), e nel 1991 Nel ricordo del sangue del cipresso. Soggiorna spesso in Europa e ha conosciuto grandi personalita internazionali del monde della cultura, della poesia e della letteratura.
Quelli che non sono venuti mai e quelli che sono andati via, tra le due rive del “Tempo”, stanno correndo verso di Te... O, Tu che Sei sempre al centro...!
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Antonio Gamoneda
a cura di Valerio Nardoni
Antonio Gamoneda è nato a Oviedo nel 1931. L’anno seguente muore suo padre e nel 1934 si trasferisce con la madre nella città di León dove ancora oggi vive e lavora. Entrambe le figure assumono un ruolo decisivo nella sua poesia, la cui origine è radicata proprio nella ravvicinata condivisione degli affetti e del dolore, e specialmente l’archetipo femminile e materno ne costituisce fin dai suoi Primeros poemas (1947-53), fino agli ultimi libri Arden las pérdidas (2003) e Cecilia (2004) uno dei principali sostegni. La sua formazione può definirsi da autodidatta e certamente estranea a qualunque corrente che potesse dirsi della cultura ufficiale: cresciuto con notevoli difficoltà economiche nei sobborghi operai di León, inizia già nel 1945 a lavorare come commesso in una banca, dove resterà per ventiquattro anni. Sarà poi impiegato nella Deputazione Provinciale per otto anni (fonda la collana “Provincia”) fino al licenziamento per mancanza di titoli di studio. Sarà in seguito gerente della Fondazione Sierra-Pambley volta all’educazione di contadini e operai. Di posizione fortemente antifranchista, fino alla morte del dittatore pubblica soltanto Sublevación inmóvil (1960). Descripción de la mentira (1977), dopo il lungo silenzio, fa segnare un radicale mutamento della sua poetica: Gamoneda trova la sua voce e il suo caratteristico versificare dal ritmo ampio e massiccio, affermando anche il carattere profondamente etico della sua poesia e umanissimo della sua visione del mondo. È soltanto dagli anni ottanta che la sua poesia ha iniziato a diffondersi ed imporsi nel panorama nazionale e internazionale. Nel 1985 vince il premio Castilla y León de las Letras e nel 1987 il Nacional de Poesía, per il volume Edad in cui si raccoglieva, o meglio, recuperava, la sua opera scritta fino a quel momento, oggi sostituita dal volume Esta luz. Poesía reunida (1947-2004). Nel 2006 ottiene il Premio Cervantes, il più importante riconoscimento del mondo letterario ispanico.
Il tempo è la misurazione ritmica della distanza che separa l’inesistenza dall’inesistenza.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Christian Hubin
a cura di Fabio Scotto
Christian Hubin è nato a Marchin (Belgio) nel 1941. Laureato in Lettere e Filosofia è stato professore. Ha esordito in poesia con Orphéon (F.D.R., 1962) e la sua opera comprende vari volumi di note critiche e oltre venti raccolte poetiche, tra le quali le recenti Tombées (2000), Le Sens des perdants (2002), Venant (2002) e Laps (2004), tutte apparse a Parigi presso le edizioni José Corti, cui si sono ora aggiunte Sans commencement (Éd. Une Saison en Poésie, 2007), Serrant (Éditions Poliphile, 2007). Tra i riconoscimenti ricordiamo il “Prix Antonin Artaud 1975” per La parole sans lieu (La Fenêtre ardente, 1975), il “Prix du Mont Saint-Michel 1984” per l’insieme della sua opera e il “Prix triennal de Poésie de la Communauté française 1991”.
Tutta la mattina a scrivere. Cielo blu di gelo. Una lepre corre nella neve. Il silenzio fa del tempo, della sua infinità, una lieve nube di vapore sopra una falesia. Non è nessuna ora, – è l’inizio degli inizi, l’aρχη. Il rossore del cielo erode i nomi, la lepre zigzagando s’avvicina a quei secondi che stanno per finire, dei quali è la punteggiatura, – che, ecco, sono finiti. Come notare l’affiorare di ciò che non è la durata? La bellezza chiama e fa paura: è insopportabile. Si scrive, forse, per attenderla o voltarle la schiena. Novemila faccette dell’occhio della mosca, ala ingrandita di un macaone, geroglifici delle tombe, costellazioni invisibili che s’apriranno attraverso stimmate. Penso all’assorbimento, alla compenetrazione dei sensi, all’etimologia del mondo – a quella stridulazione del grillo una sera, quando ha taciuto il Diatope di Xenakis.
Da Parlando da solo, inedito.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Clara Janés
a cura di Valerio Nardoni
Clara Janés (Barcellona 1940), vive a Madrid dal 1964, ma la sua è una vita ricchissima di viaggi alla riscoperta di luoghi e personaggi legati al suo mondo poetico, come Vladimir Holan, da cui scaturisce la raccolta Kampa (1986), o i prolifici contatti col mondo e la cultura islamica. Autrice anche di romanzi e di saggi, è una traduttrice di grande rilievo (Premio Nacional de Traducción 1997). Fin dalle sue prime raccolte in versi – Las estrellas vencidas (1964) e Límite humano (1973) – emerge con forza uno dei temi che segneranno la sua poetica: il desiderio di oltrepassare la materialità e di raggiungere spazi di assoluto. A partire dalle raccolte Eros (1981), Vivir (1983) viene spesso definita come intensa poetessa dell’amore, che si esprime come ricerca di una comunione quasi mistica con il cosmo. Fra le sue ultime raccolte Los secretos del bosque (Premio Gil de Biedma 2002) e Fractales (2005). Si segnalano in fine Arcángel de sombra (1999), tradotto in italiano da Annelisa Addolorato (Crocetti, 2005); e La indetenible quietud (2008), che riproduce un libro d’arte realizzato col grande scultore Eduardo Chillida.
Un pensiero di poetica, sul rapporto fra tempo e Tempo
Fin dal principio ho definito la poesia riferendomi al tempo. Dicevo che era un ritmo, il ritmo stesso, il ritmo dei passi, e che i passi nel loro susseguirsi misurano il tempo. Quei passi erano concreti, percorrevano un qui in relazione ad un laggiù e un adesso in relazione ad un poi, in entrambi i casi facevano saltare in un istante la contrapposizione con il non tempo – il fuori dal tempo – e il non tragitto – no, cambio, l’essenza –. Ma nel suo nascere, una poesia svela altri livelli ancora. Rispetto alla questione del tempo, alcuni anni fa ho scritto : «Il premio Nobel Ilya Prigogine, alla biennale poetica di Liegi del 1984 che trattò il tema Poesia anno 2000, nel suo intervento Scienza e letteratura, uno stessa questione?, parlò di un tempo interiore e di un tempo esteriore, rifiutando l’idea datata secondo la quale il tempo è dentro di noi. Disse: “Nella concezione classica, il presente era come un punto perduto tra l’infinito del passato e l’infinito del futuro, mentre oggi consideriamo il presente come un durata finita, incomprensibile, che misura essenzialmente il modo in cui il tempo è necessario perché il passato scompaia nell’oggetto e faccia spazio al futuro [...] iniziamo a comprendere la storia della materia e della vita come un’acquisizione dell’autonomia del tempo, un’acquisizione progressiva di questa autonomia”. Quel tempo autonomo è il tempo delle successioni, ma quello che si incarna nella poesia è un altro, è il tempo mitico. Quanto al tempo storico, lo stesso Prigogine ricordava che Aristotele “aveva concluso che il tempo è il numero del movimento nella prospettiva fra ciò che precede e ciò che succede”. Il tempo mitico, invece, è pienezza puntuale capace di affondare, come diceva Octavio Paz, “nelle acque primordiali dell’esistenza”. La parola poetica come raggiunge quelle acque primordiali?, come riesce a collocarsi in quel tempo mitico? Attraverso il ritmo, che è una delle sue caratteristiche. Questo ritmo è fondamentalmente chiamato ritmo comune, la cui espressione è l’analogia. L’analogia avvicina l’apparentemente distante e, invece di muoversi nelle successioni, lo fa nella trasparenza nel presente di spazi e di tempi. Attraverso di essa si vivifica tanto l’arte come l’esistenza e entrambe assumono una forma espansiva e di ampia significazione».
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Mohammad Réza Shafi’i Kadkani
a cura di Farideh Mahdavi-Damghani
Nato nel 1939 nel piccolo villaggio di Kadkan al nord, nella provincia di Khorâssân, in una famiglia colta, Mohammad Réza Shafi’i Kadkani ha passato la sua adolescenza a Mashad, la città dell’Iran più importante per la fede sciita, dov’è sepolto l’ottavo Imam, discendente del Venerabile Profeta dell’Islam. Professore di letteratura persiana presso l’università di Teheran, saggista e critico letterario, dal 1965 a oggi ha pubblicato molte raccolte poetiche: Nei giardini di Neyshâbour, I sussurri, Come un albero sotto la pioggia, Essere e fare la poesia, Tra il linguaggio della foglia, Il secondo millenario della gazzella di montagna, ecc. La poesia di Kadkani – considerato il più grande poeta persiano vivente – è una poesia affascinante, che si mescola con le immagini della natura, della società e soprattutto dell’amore, con una visione tipicamente mistica.
Nella cultura persiana esiste una parola, che appare come un proverbio, oppure come una parola saggia, e che alcuni dicono che è la Parola del nostro venerabile Profeta, e questa saggezza dice: “Tutte le cose hanno il proprio linguaggio, e la lingua che appartiene ai tempi e alle epoche è proprio la Poesia”. Ogni volta che mi metto a riflettere su questa frase profonda, mi viene un profondo rimpianto, perché la poesia della nostra epoca, che è la lingua e il linguaggio dei nostri tempi, si è imposta della privazioni e si impedisce di interessarsi alle tristezze, alle nostalgie e alle gioie eterne che sono sempre esistite; e anche alle ansie che appartengono solamente all’uomo contemporaneo... e col pretesto del “modernismo” o del “post-modernismo” e gli altri “ismo” che ci sono, rifiuta di compiere il suo dovere naturale e storico...
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Tomaso Kemeny
Tomaso Kemeny, nato a Budapest nel 1938, dal 1948 vive a Milano ed è professore ordinario di Letteratura Inglese presso l’Università di Pavia. Ha scritto articoli, saggi, libri sull’opera di Ch. Marlowe, W. Shakespeare, W. Blake, P.B. Shelley, W. Scott, L. Carroll, D. Thomas, E. Pound e J. Joyce. Ha pubblicato otto libri di poesia di cui ricordiamo Il guanto del sicario (New York, 1976), Il libro dell’angelo (Milano, 1991), Melody (Milano, 1998) e La Transilvania liberata (Milano, 2005). Ha composto il testo drammatico La conquista della scena e del mondo (rappresentato la prima volta nel 1996) e ha pubblicato il romanzo Don Giovanni Innamorato (Milano, 2002). Ha tradotto e curato l’opera di Lord Byron (Milano, 1993) e volto in italiano l’epilio Ero e Leandro di Ch. Marlowe (Milano, 1994). In Notturno (55 a.C. -1992) ha selezionato e volto in italiano poesie da otto lingue (Milano, 1992). Con il filosofo Fulvio Papi ha scritto Dialogo sulla poesia (Pavia, 1997) e ha pubblicato un libro di poetica L’arte di non morire (Udine, 2002). Con Cesare Viviani ha organizzato i seminari sulla poesia presso il Club Turati di Milano (1979 e 1980) e curato i relativi atti: Il movimento della poesia italiana negli anni ’70 (Bari, 1979) e I percorsi della nuova poesia italiana (Napoli, 1980). Tra i fondatori del Movimento Internazionale Mitomodernista, con Giuseppe Conte e Stefano Zecchi, ha curato lo Almanacco del mitomodernismo 2000 (Alassio, 2000). È uno dei fondatori di “La Casa della Poesia” di Milano.
In margine all’esperienza del Tempo
Un metadiscorso, un discorso in grado di protendersi fuori dallo scorrere degli istanti, nell’illusione che vi sia un’uscita dal labirinto multilivellare del tempo, per me non può che oltrepassare le pretese della comunicazione, per esprimersi, aldilà della logica, secondo le analogie (“il demone dell’analogia”) necessarie al verso poetico, in grado di articolare le immagini multilivellari del Tempo simultaneamente. Ma per correttezza verso l’epoca del mito della comunicazione, mi affido al pensiero logico-analitico (con una certa pena) per squadernare la tipologia di quelle che per me sono le forme essenziali della rappresentazione parziale del Tempo multilivellare:
a.“il tempo biologico”, ovvero la durata collettiva e individuale di quell’avventura che chiamiamo vita.
b.“il tempo storico”, ovvero le epoche narrate dalla prospettiva delle varie etnie.
c.“il tempo erotico”, ovvero la durata meravigliosa di quello illusorio “sempre” che lega gli innamorati.
d.“il tempo poetico”, ovvero la monumentalizzazione (“exegi monumentum…”) della lingua di un popolo in una data epoca.
e.“il tempo metafisico”, ovvero la prospettiva consolatoria offerta dalle varie religioni e filosofie idealiste.
f.“il tempo utopico”, ovvero la promessa di varie ideologie di quella giustizia e di quella felicità in terra a cui aspirano le persone per bene.
g.“il tempo dell’ispirazione poetico-artistica”, ovvero quei momenti privilegiati, non privi dell’aura dell’eterno, in cui l’enigma della bellezza mostra una dei suoi volti possibili all’ispirato.
h.“il tempo mitico-cosmico”, ovvero il tempo ciclico delle stagioni e il tempo eroico-erotico-eretico dello “eterno ritorno”.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Yusef Komunyakaa
a cura di Federico Mazzocchi
Nato a Bogalusa, in Lousiana, nel 1947, attualmente insegna alla New York University ed è membro della Fellowship of Southern Writers. Primo di cinque figli, Komunyakaa crebbe durante l’epoca della guerra civile. Un’esperienza che di certo segnò la sua vita fu quella del servizio militare (1965-67) nel Vietnam del Sud. Qui egli fu editorialista del Southern Cross, il giornale militare, fatto che gli valse una medaglia di bronzo. Nel 1973 iniziò a scrivere poesia, guadagnando un Bachelor’s degree (University of Colorado, 1975), un M. A. in Creative Writing (Colorado State University, 1978) e un M. F. A. in Creative Writing (University of California, Irvine, 1980). La sua produzione poetica da allora è particolarmente prolifica, più dieci raccolte, recentemente riunite nel volume Pleasure Dome (2001). Negli ultimi anni ha anche ricevuto numerosi riconoscimenti, a partire dal Premio Pulitzer (1994) per la raccolta Neon Vernacular e il Ruth Lilly Poetry Prize (2001). Di recente si segnala l’adattamento drammatico del poema epico Gilgamesh (2004).
Tempo è diverso da tempo. Perlomeno questo è ciò che penso mentre sono qui seduto sulla spiaggia di Treasure Beach, in Giamaica, a fissare a notte fonda il firmamento di questa stagione primaverile, e intanto sento il ritmico rifluire del mare, catturato per un istante nel suo suono eterno. Sì, in questo momento non posso far altro che pensare a un Tempo con la lettera maiuscola, quasi aldilà dell’immaginazione dell’uomo e delle sue illusioni di controllo, un Tempo che non presta servizio né a noi né alle nostre invenzioni, mentre la natura continua a pulsare nella sua immensa, accidentale perfezione. Certo, in quanto poeta sono sempre conscio anche dell’importanza di un tempo con la lettera minuscola: una costruzione umana, così come lo potrebbe considerare un musicista. Poiché credo che il linguaggio sia la nostra prima musica, si potrebbe dire che noi parliamo il tempo; ma il tempo come ritmo non è né il Tempo metafisico né un’approssimazione del mistero. Il Tempo è mistero: è l’alfa e l’omega della pena e dello sgomento. Indubbiamente alle volte il Tempo è ciò contro cui noi umani abbiamo l’audacia di sognare di misurarci. Da questo punto di vista, esso è ciò che in assoluto ci sminuisce di più. Il Tempo è sempre in guerra con i nostri dei.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Franco Loi
Franco Loi è nato a Genova nel 1930 da una famiglia sarda e vive a Milano dal 1937, città della quale ha adottato il dialetto. Traduttore e saggista, dalla fine degli anni ’80 è stato un rilevante critico letterario per «Il Sole 24 ore» incoraggiando l’uso poetico dialettale. Il suo linguaggio poetico nasce dalla libera mescolanza di elementi linguistici di varia natura: gerghi, idioletti ecc. di area proletaria e contadina, spesso reinventati dalle sue peculiari esigenze espressive. Dopo le raccolte I cart (1973), e Poesie d’amore (1974), si è affermato soprattutto con la raccolta Stròlegh (1975). Seguono molte altre raccolte fino alla più recente Isman, pubblicato da Einaudi nel 2001.
La poesia è come il formarsi in te di una nuova dimensione del mondo. Non dici quel che vedi nella mente, ma quel che è nascosto nell’anima. Anche per questo è un invito a conoscere. Come ho scritto più volte, “dentro la parola aperta io mi perdo / divento le cose del mondo, l’aria che passa, / quella parola che sta dietro l’aria / e si fa coscienza agli occhi che stanno nel tempo”.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Teresa Rita Lopes
a cura di Laura Naldini
Teresa Rita Lopes, nata a Faro nel 1937, docente universitaria, ricercatrice e scrittrice, ha insegnato 13 anni alla Sorbona, dove difese la tesi di dottorato su Pessoa: Fernando Pessoa et le drame symboliste: héritage et création (3ª edizione Paris, La Différence, 2005), proseguendo sempre nello studio e nella divulgazione anche di edizioni critiche (Álvaro de Campos, Libro de Versos, Lisbona, 1993), e molti inediti del grande autore portoghese (Pessoa por Conhecer, Lisbona, 1990, Premio Pen Club), di cui oggi è una delle massime esperte mondiali. Fra l’altro, ha pubblicato in francese due montaggi di testi di Pessoa: F. Pessoa et le théãtre de l’être (Paris, 1991) e Le Privilège des Chemins, (Paris, 1991), rappresentato dalla Comédie Française, nel settembre 2004. Autrice di fama internazionale anche di prosa e specialmente di teatro (l’editore Imprensa Nacional-Casa da Moeda sta pubblicando il suo Teatro reunido). Sette le sue raccolte poetiche: Os dedos os dias as palavras, Porto, Figueirinhas, 1987 (Prémio Cidade de Lisboa); Por assim dizer, Lisboa, ed. De Viva Voz, 1994; Cicatriz, Lisbona, Presença, 1996 (prémio Eça de Queirós); Afectos, Lisbona, Presença, 2000; Jogos, Presença, 2001; A Nova Descoberta de Timor, Lisbona, Imprensa Nacional-Casa da Moeda, 2002 e A Fímbria da Fala, Porto, Ausência, 2004. Sue poesie sono tradotte in francese, italiano, castigliano, catalano, rumeno, sloveno, tedesco.
Il tempo e il Tempo
1
Del tempo parlano tutti come di un bene prezioso
Avere o non avere tempo
questo è il problema
tempo per guadagnare
soldi fama
ma non hanno neppure tempo per contare il capitale
accumulato
e molto meno per rincontrare se stessi
un giorno intero
sulla spiaggia deserta del Tempo
2
Buttare l’orologio che ci comanda
con briglia
corta
che ispido ci sferza
ah! fare linguaccia
al tempo!
Io invece voglio l’altro
quello con lettera grande
quello che cantando manda il girotondo dei mesi bambini
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Valerio Magrelli
Valerio Magrelli, nato a Roma nel 1957, ha pubblicato cinque libri di versi. I primi tre (Ora serrata retinae, Feltrinelli 1980, Nature e venature, Mondadori 1987, Esercizi di tiptologia, Mondadori 1992), sono stati riuniti nel volume Poesie e altre poesie (Einaudi 1996), cui hanno fatto seguito il poemetto Didascalie per la lettura di un giornale (Einaudi 1999) e la raccolta Disturbi del sistema binario (Einaudi 2006). Sempre da Einaudi, nel 2003, sono uscite le prose intitolate Nel condominio di carne. Docente di letteratura francese all’Università di Cassino, ha diretto la collana di poesia “La Fenice” Guanda e la serie trilingue “Scrittori tradotti da scrittori” Einaudi. Nel 2002, l’Accademia Nazionale dei Lincei gli ha attribuito il Premio Feltrinelli per la poesia italiana.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Thomas McCarthy
a cura di Alessandro Gentili
Thomas McCarthy nasce nella contea di Waterford nel 1954. Si laurea in Lettere all’università di Cork. È di frequente negli Stati Uniti per letture di poesie, convegni e seminari. Nell’anno accademico 1994-95 insegna al Macalester College nello stato del Minnesota. Da molti anni lavora alla biblioteca comunale di Cork. Fra le sue opere poetiche ricordiamo: The First Convention (!978), The Sorrow Garden (1981), The Non-Aligned Storyteller (1984), Seven Winters in Paris (1989), The Lost Province (1996), Mr Dineen’s Careful Parade, New & Selected Poems (1999), Merchant Prince (2005). Autore anche di un ‘memoir’ in prosa, Gardens of Remembrance (1998). In Italia, una scelta di poesie di McCarthy è presente in Rosa di macchia, antologia della poesia irlandese dopo Yeats, a cura di A. Gentili (Passigli, 1992).
Non so quando il tempo resti, fermo. Non so se sia quando la poesia viene scritta o se sia nei minuti prima che la poesia divenga poesia. A volte, prima che una poesia venga scritta, il tempo è rimasto fermo per anni e anni nella vita del poeta. Una poesia breve può comprendere tanti anni. È proprio come una danza. Una danza è un’antologia di movimenti che vengono insieme e congiunti da quel singolo momento di esecuzione. Quando in macchina mi fermo brevemente a guardare il momento intenso del cielo e dell’acqua oltre Oughterard nella contea di Galway, un momento proprio del Connemara, so che il tempo è restato, fermo, e si è aperta la possibilità della poesia. Resta sì il tempo, fermo, nella poesia, ma la poesia è anche entrata nel tempo. Poesia è tempo e musica che accompagna.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Mariella Mehr
Mariella Mehr è nata a Zurigo nel 1947 da una famiglia jenische alla quale è stata strappata per essere consegnata a famiglie affidatarie, orfanotrofi, istituti psichiatrici, ha subito violenze, stupri, elettroshock, e all’età di diciotto anni, come era accaduto a sua madre, le hanno tolto il figlio ed è stata resa sterile. Nel 1996 si è stabilita in Toscana dove tuttora vive. Mariella Mehr ha fatto della denuncia della persecuzione del suo popolo in Svizzera (un fenomeno di cui si sapeva pochissimo fino alla fine degli anni ottanta) il centro della propria scrittura. Dapprima in un libro, Kinder der Landstrasse, che raccoglie tra l’altro la documentazione che la riguarda (atti giudiziari, perizie psichiatriche, ecc.), poi nella trilogia della violenza che comprende Daskind (sicuramente il più forte, il più duro e anche nella scrittura il più acuto dei tre, ricorda per potenza espressiva Il grande quaderno di Agota Kristof), Brandzauber (tradotto in italiano con il titolo Il Marchio edito da Tufani, 2001) e Angeklagt (Accusata).
Il romanzo è fatica. Si vedono sempre gli errori, anche quando il romanzo è finito non si è mai contenti fino in fondo. La poesia invece è una cosa che rende felici. La scrivi, l’aggiusti e poi dici, ecco questo è il meglio che posso dare di me ora, ed è la felicità.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
John Montague
a cura di Alessandro Gentili
John Montague nasce nel 1929 a Brooklyn, New York, dove, per motivi politici, nel 1925 si era dovuto trasferire il padre dall’Irlanda del Nord. All’età di quattro anni viene mandato a vivere con due zie paterne nel podere di famiglia nel territorio di Garvaghey nella contea di Tyrone in Ulster. Si laurea in Inglese e Storia all’University College di Dublino. Nella prima metà degli anni cinquanta è negli Stati Uniti per proseguire gli studi. Nel 1956 rientra a Dublino, dove inizia una lunga collaborazione con Liam Miller, editore intraprendente e fondatore della Dolmen Press. Negli anni sessanta è a Parigi, anche come corrispondente di “The Irish Times”. Ritorna in Irlanda nel 1972 per accettare l’incarico di docente di letteratura inglese all’Università di Cork. Nel 1989 viene nominato ‘Distinguished Professor’ presso il New York State Writers Institute dell’Università di Albany. Nel 1999 gli viene conferita l’Ireland Chair of Poetry, la cattedra di poesia presso le università di Irlanda, del Sud e del Nord. Fra le sue opere poetiche: Forms of Exile (1958), Poisoned Lands (1961), A Chosen Light (1967), Tides (1971), The Rough Field (1972), A Slow Dance (1975), The Great Cloak (1978), The Dead Kingdom (1984), Mount Eagle (1989), The Love Poems (1992), Time in Armagh (1993), Collected Poems (1995), Smashing the Piano (1999), Drunken Sailor (2004). È autore anche di una raccolta di racconti brevi, An Occasion of sin (1992), di un romanzo breve, The Lost Notebook (1987), e di due volumi di memorie, Company: A Chosen Life (2001) e The Pear Is Ripe (2007). In Italia, una scelta di poesie di Montague è presente in Rosa di macchia, Antologia della poesia irlandese dopo Yeats, a cura di Gentili (Passigli, 1992), che per lo stesso editore ha curato inoltre Il quaderno smarrito [The Lost Notebook] (1995), e Il campo abbandonato [The Rough Field] (1998).
“Il tempo copre una moltitudine di peccati”.
“È tempo, signori, per favore” è la richiesta, disperata, dell’oste inglese agli ultimi bevitori che tirano a far tardi.
“Tenete il tempo” ordina lo ‘chef d’orchestre’.
“Si sconta il tempo della pena” quando si finisce in prigione.
“Si ammazza il tempo” quando giusto si tira a far passare il tempo.
“Si trova il tempo” quando si aggancia un probabile amore.
La parola Tempo rende le battute di una poesia o di un pezzo musicale, le cadenze che durano. Laddove la parola tempo si riferisce alla lettura di una poesia, che ha luogo in un periodo di tempo, poiché si tratta di una forma di arte temporale, opposta ad una spaziale, quale la pittura. Eppure, una poesia è destinata a sopravvivere nell’eternità, che è tempo senza fine.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Les Murray
a cura di Gaetano Prampolini
“Autobiografia in dieci righe”: la residenza temporale di Les Murray si trova nel bel mezzo di una rima: vive in un piccolo podere tra Forster e Gloucester, nell’Australia orientale. Sua moglie si diletta del canto degli uccelli campestri e il prozio che avviò il podere coltivava granturco come carburante per i cavalli che ai suoi tempi facevano da motore nei trasporti. Essendo un teorico dell’agricoltura, al poeta piacerebbe vedere il carburante tornare ad essere un prodotto agricolo. Nell’attesa ha pubblicato tredici raccolte di poesie ed è stato tradotto in sedici lingue.
Tempo spaziale e tempo reale
in gran silenzio scorrono,
tempo di musica e temporale
far gran baccano possono:
DI TUTTI PADRE FU UN ROLLING STONE.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Giulia Niccolai
Giulia Niccolai è nata a Milano nel 1934 dove vive e lavora. Negli anni settanta fondò e diresse con Adriano Spatola la rivista di poesia «Tam Tam». Nel 1985, dopo una grave malattia, ha incontrato il Buddismo tibetano del quale è monaca dal 1990. Opere principali: Il grande angolo (prosa), Feltrinelli, 1966; Harry’s Bar e altre poesie (1969-1980), Feltrinelli, 1981; Frisbees (poesie da lanciare), Campanotto, 1994 (Premio Feronia, 1995); Esoterico biliardo (prosa), Archinto, 2001; La misura del respiro (antologia, Premio speciale della giuria Lorenzo Montano), Anterem, 2002; Orienti (7 poesie) con 7 disegni di Carlo Cavallotti, Signum edizioni d’arte, 2003; Orienti (16 poesie), Fondazione Franco Beltrametti e Josef Weiss Edizioni, 2004; Ancora orienti (2 poesie), il sagittario, 2004; Le due sponde (prosa), Archinto, 2006. È presente in diverse antologie italiane e straniere.
A una donna giovane e carina
non è concesso definirsi poeta,
filosofa o quant’altro.
Le sarà permesso solo da vecchia,
quando si sarà scrollata di dosso
tutta la sua patina di desiderabilità.
Succedeva ai miei tempi e – mi dicono –
succede ancora adesso.
Da Frisbees della vecchiaia, inedito.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Alfred Palma
Alfred Palma è nato a Floriana (Malta), nel 1939, ma vive da sempre a Zabbar. Prima insegnante elementare, poi impiegato presso il Reparto Assistenza Sociale dello Stato, dal 1987 si dedica esclusivamente alla letteratura. Nel 1991 pubblica la traduzione integrale della Divina Commedia, un lavoro che lo ha impegnato dal 1966 al 1986, in una versione metrica fedele anche alle rime e gli accenti danteschi. Traduttore anche di Shakespeare (dodici commedie), Oscar Wilde (Salomé, Il ritratto di Dorian Grey, De profundis) e di Voltaire (Candido), ha pubblicato la raccolta poetica Preludi (1993) e tre novelle: Overdose (1996), Perdona i nostri peccati (1997) e Fantasmi di gesso (2008). Gli sono stati conferiti riconoscimenti a Malta e in Italia. Palma dipinge e suona il pianoforte e, poeticamente, sogna sempre un mondo migliore.
La poesia per me, con la musica e la pittura, è stata sempre un sorso di sollievo spirituale. Fin da bambino, molti anni fa, ho sempre sentito il bisogno dell’arte. Gioivo osservando il mare in tempesta, un albero, un tramonto, una rosa che sbocciava, persino una nuvola in cielo... e poi una grande voglia di scrivere poesie, di dipingere, di star solo per assorbire la voce del silenzio, e poi inondarmi di musica. Giovanissimo, incontrai molti poeti di grande calibro, maltesi, inglesi e italiani... poi Dante; la Commedia mi affascinava, sentivo un gran bisogno di tradurla in maltese, e così facendo coltivavo ancor di più la mia propensione per la poesia. Di una sensibilità tenue e delicata, cercavo sempre la catarsi per ogni mio dolore, scrivendo poesie. Taccuino e matita mi sono stati sempre a portata di mano, per catturare il momento, quel momento sublime di assoluta spiritualità. E avendo come maestro il Poeta Divino, non mi mancava niente. Come si sa, le muse sono capricciose, e quella della poesia a volte è particolarmente crudele. A volte veniva una poesia dopo l’altra, a volte niente, aridità assoluta. Ma c’erano sempre le altre due sorelle ad aspettarmi, la Musica e la Pittura, che sono sempre venute in mio aiuto quando la prima decideva di tormentarmi. Ma è sempre stato un tormento dolce, che mi ha ripagato ampiamente la fatica e il sudore, e finalmente mi ha regalato la soddisfazione e la gioia spirituale assoluta che ho cercato per tutta la mia vita.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Juana Rosa Pita
a cura di Valerio Nardoni
Juana Rosa Pita (La Habana, 1939) è poetessa, saggista e traduttrice. Dal 1961 risiede fuori da Cuba; a Washington co-fondò le Edizioni di poesia Solar e si dottorò in Letterature Ispaniche. Ha ricevuto premi internazionali come l’VIII “Ultimo Novecento” a Pisa, per la sua opera poetica integrale, e il “Letras de oro” dell’Iberian Studies Institute di Coral Gables. Tra le più note fra le sue 22 raccolte si ricordano Manual de magia (Ámbito Literario, 1979); Viajes de Penélope (Solar, 1980), pubblicato in edizione bilingue in Italia, I viaggi di Penelope (Campanotto, 2007); Plaza sitiada (Libro Libre, 1987); Más recientemente, Tela de concierto (El Zunzún Viajero 1999) e Pensamiento del tiempo (Amatori, 2005). Attualmente risiede a Boston.
Poetica e tempo
La poesia viene dopo la coscienza del tempo, cioè, del dolore. Se l’infanzia è patria e il proprio paese è perché manca di quella coscienza. Tutto ciò che la poesia forma e pronuncia conosce la perdita e la scomparsa verso cui si incammina ogni essere umano, ma le contraddice e in istanze felici le vince, perché essa conosce al di là del sogno reale che è la vita. È pur vero che i sogni sono vita, e in particolare quello della bellezza allerta che dal rovescio del tempo fa presenza e – per mezzo della parola poetica – diventa la bussola della singolare esistenza umana; giustamente in quanto breve, chiamata all’eterno e all’immortale. La poesia ha delle sagge mani d’amore e con certezza crea le figure di significato che nel tempo restano occulte nell’intricata nebbia cronologica. Da voce agli istanti che la meritano. Canta la memoria, sente e vede, rende conto del continuo sapore dell’armonia, e per tempo stringe il piacere. Le parole rinascono di emozione.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Anna Ruchat
Anna Ruchat è nata a Zurigo nel 1959. Ha studiato filosofia e letteratura. Thomas Bernhard, Paul Celan, Nelly Sachs, Victor Klemperer, Mariella Mehr, Werner Herzog, sono tra gli autori che in molti anni di attività ha tradotto dal tedesco. Insegna alla Scuola europea di traduzione del Comune di Milano. Dal 2002 si occupa della gestione dell’Archivio del poeta Franco Beltrametti. Nel 2004 è uscita la raccolta di racconti In questa vita. Nel 2005 ha pubblicato il volume di poesie Geografia senza fiume e, in collaborazione con la fotografa Elda Papa, il racconto Il male minore.
La felicità della scrittura è stare nella massima precisione, adesione e onestà verso se stessi e l’oggetto, senza prendersi troppo sul serio.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Lutz Seiler
a cura di Anna Ruchat
Lutz Seiler è nato nel 1963 a Gera, in Turingia. Dopo un apprendistato di carpentiere ha lavorato come falegname e come muratore. Nel 1990 si è laureato in germanistica e dal 1997 dirige il programma di letteratura presso la Peter-Huchel-Haus di Wilhelmshorst. Fino al 1999 ha fatto parte della redazione della rivista letteraria Moosbrand. Con Pech & Blende (Suhrkamp, 2000) ha ottenuto un successo di pubblico che per la poesia non si riscontrava da tempo in ambito tedesco. Nel 2003 è seguito il volume di poesie Vierzig kilometer nacht. Sono diversi i premi che Lutz Seiler ha ottenuto per la sua opera: nel 2002 l’Anna-Seghers-Preis, il Bremer Literaturpreis nel 2004, il premio della SWR-Bestenliste nel 2005 per la raccolta di scritti Sonntags dachte ich an Gott e per il racconto Die Anrufung. Infine, ha ottenuto il Premio Ingeborg-Bachmann nel 2007 per il volume di racconti Turksib (Suhrkamp 2008).
Mi ha sempre affascinato l’espressione tedesca das Zeitliche segnen: ‘benedire la temporalità’. Gli uomini, ma anche le cose, possono benedire la temporalità, il che equivale a dire: muoiono. Chi benedice la temporalità muore. Benedire la temporalità significa essere assolutamente d’accordo, esserlo quasi teneramente (l’espressione ha in sé una singolare dolcezza) con il trapasso, con la caducità. Singolare è anche il fatto che si continui a fare qualcosa, che si sia ancora attivi, proprio nell’istante in cui non si può più fare nulla in quanto si trapassa: si benedice. La temporalità. La poesia con ogni suo atto di presenza è alla ricerca di questi momenti di trapasso, di benedizione. La cosa affascinante è: il tempo passa.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Artur Spanjolli
Artur Spanjolli, nato nel 1970 a Durazzo, da molti anni vive a Firenze, dove svolge attività di acquarellista e di ritrattista. Una prima raccolta di poesie e prose poetiche, La notte dei cipressi stranieri, esce a Tirana nel 1994, ma già nel 1992 con cinque poesie ed un racconto vince il premio organizzato da Rai Tre “I giovani entrano in Europa”, dopo il ritiro del quale, ad Abano Terme, decide di rimanere in Italia. Si laurea in Lettere nell’anno 2000 presso l’Università di Firenze, città nella quale stringe fra l’altro una stretta amicizia col poeta Mario Luzi, che presenterà pubblicamente il suo libro successivo, il romanzo Cronaca di una vita in silenzio (Besa, 2003). Le ultime opere pubblicate sono Eduart (2005) e La Teqja (2007).
La poesia è il tempo della nostra esistenza, il tempo segreto decifrato dai poeti.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Aleš Šteger
a cura di Michele Obit
Aleš Šteger è nato nel 1973 a Ptuj, in Slovenia. Nel suo paese è uno degli autori più amati. Ha studiato Letterature comparate e Germanistica all’Università di Ljubljana, è editor, traduttore e fondatore del festival di poesia internazionale “Giornate della poesia e del vino”. Ha esordito nel 1995 con la raccolta di poesie Šahovnice ur. Seguirono poi la raccolta di saggi Kašmir (1997), un viaggio attraverso il Perù (Vcasih je Januar sredi poletja – ‘A volte è gennaio in mezzo all’estate’), e la raccolta di poesie Protuberance (2002). Attualmente vive a Ljubljana, dedicandosi a tempo pieno alla scrittura e dirigendo Koda, una prestigiosa casa editrice accademica, parte di Študentska Založba Academic Press. Le sue opere sono tradotte in più di 15 lingue.
Ci sono tempi in cui il tempo non ha più tempo. Neanche più per un gioco di parole come questo. Solo per un tempo che non è più tempo. L’atemporalità del tempo nuda, tirata via come un vestito. Un abito rosso stracciato, buttato sul pavimento di un’oscura stanza vuota. Ma niente casa. Solo l’assenza di qualsivoglia sentimento di casa.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Marcia Theophilo
Nata a Fortaleza in Brasile, Marcia Theophilo da molti anni vive anche in Italia, come rappresentante dell’Unione Brasiliana degli Scrittori e impegnata in particolare nella difesa del patrimonio naturale e culturale della foresta amazzonica, da cui proviene la famiglia paterna. Ha partecipato come poeta a molte e importanti manifestazioni in Italia e all’estero. È fra i candidati al Premio Nobel. Numerose le opere pubblicate, in Brasile e in Italia, dai racconti di Os Convites (1968) ai saggi Ritorni di un poeta assassinato (omaggio a Federico García Lorca, 1976) e Il massacro degli Indios nel Brasile di oggi (1977), al poema teatrale Arapuca (con illustrazioni di Rafael Alberti, 1979), alle raccolte di poesia: Siamo pensiero (1972), Basta che parlino le voci (con prefazione e traduzione di Ruggero Jacobbi, 1973), Canções de Outono (con illustrazioni di Rafael Alberti, 1979), Cautetê Curupira (1983, Premio Minerva), Il fiume. L’uccello, le nuvole (1987), Io canto l’Amazzonia (1982, Premio Città di Roma), I bambini giaguaro (1995, Premio Fregene), Kupahúba (2000), fino alle due più recenti Amazzonia respiro del mondo (prefazione di Mario Luzi, 2005) e Amazzonia madre d’acqua (2007), che hanno ottenuto diversi riconoscimenti fra cui il premio ‘Leggere per conoscere – Un libro per la scuola, un autore per domani’.
Nel tempo è racchiuso il mistero della perfetta struttura che sostiene e dà vita all’universo.
Fra alcuni popoli indigeni esiste un rituale sciamanico chiamato la Ruota del Sogno.
In una riunione attorno al fuoco il sognatore - sciamano - della tribù si corica con la testa verso il fuoco e dorme.
Il giorno dopo lui narra i suoi sogni che daranno il senso al quotidiano del villaggio.
Per i popoli Indios, il sogno è un momento di libertà dello spirito, i sogni rivelano un’esperienza reale vissuta nel mondo immateriale, psichico e spirituale.
È durante il sogno che integriamo le nostre esperienze emozionali della vigilia e arriviamo al nostro inconscio e alla nostra mitologia personale e archetipa.
Il panteismo non è lontano da noi, è dentro di noi, è policentrico, quando l’uomo disperso fra gli alberi, animali, fulmini, sole, luna, conviveva in un caos apparente. Gli dei si trovano fra noi, parlano dentro di noi, liberi, i piccoli folletti della foresta ci spingono ad un canto, a un ritmo fuori del tempo e delle ansie.
Ancora oggi, al tempo della macchina e dell’acciaio, della città sconfinata di luci e rumori, la gente dell’Amazzonia porta intatto nella memoria il popolo guerriero dei Tupinambàs coi loro canti, le storie, i miti, gli dei.
Ma pare impossibile il ritorno, difficile riprendere il cammino per le strade senz’alberi, morte.
Le macchine funzionano come prolungamento delle nostre braccia, gambe, cervello, viscere, ma principalmente immagini e somiglianza degli animali che si muovono in queste due foreste, quella di fili e tecnologia creata dall’uomo, e quella più remota. Dentro questa visione apocalittica la scienza non sta evolvendosi soltanto a nostro favore, né del mondo vivo.
Come quando prima di un terremoto, prima ancora che l’uomo si accorga della terra che comincia a muoversi in sordina e traditrice, gli abitanti della foresta, attenti, inquieti, s’aggirano allarmati e allarmanti. Come i fanciulli delle nuove generazioni che senza capire le cause della tragedia umana, vagano disperati in un mondo costruito dai loro antenati e imitando i delfini e le balene si suicidano.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Stefano Vincieri
Stefano Vincieri è nato a Padova nel 1954, vive tra Reggio Emilia e Firenze, titolare di un’attività di restauro e antiquariato, occupandosi anche di grafica d’arte e pittura. Ha pubblicato: L’immagine silente (prefazione di Antonio Salvatori, 1982), La semina del sonno (1985) e L’eco o la spada (prefazione di Paolo Ruffilli, 2001). Altre sue poesie sono apparse in diverse riviste e antologie.
Poesia, divorzio dal tempo.
Non abbiamo tempo per scrivere sull’argomento.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Serafettin Yildiz
a cura di Sibylle Kirchbach
Nato nel 1953 in Turchia, Serafettin Yildiz vive a Vienna dal 1978. È laureato in economia, ma lavora dal 1986 come assistente scolastico per famiglie immigrate. Dal 1991 al 1999 ha insegnato il turco presso la Pädagogische Akademie di Vienna; tiene inoltre corsi di scrittura creativa alla Schule für Dichtung in Wien e alla Sommerakademie Griechenland, ed è membro nella giuria del Premio “Schreiben zwischen den Kulturen“ (‘Scrivere tra le culture’). Numerose le sue conferenze sui problemi socio-linguistici di ambientamento nei bambini provenienti dalla Turchia. Poeta noto anche all’estero, diverse letture delle sue opere lo hanno portato in Italia, Svezia, Slovacchia, Olanda e Danimarca. Tra le sue opere spiccano Meine rotzige Hoffnung (Verlag der Apfel, 1989), Bir Deniz Boyu Öteden (Era Yayincilik-Istanbul, 1994), Der himmelblaue Gruß (Neuer Breitschopf-Verlag, 1995) e Herzfinsternis (Grasl 1998), tradotto in spagnolo col titolo Eclipse del Corazón (Primera Adición, 2001). Numerose sono anche le participazioni in antologie e riviste letterarie, nelle quali si trovano diverse sue poesie tradotte in turco, olandese, rumeno, spagnolo e slovacco.
“Il tempo”
ha tanto tempo
sono le quattro del mattino,
come se fosse semplicemente settembre,
come se il tempo alzasse il bicchiere di vino
e facesse un brindisi: Alla salute.
Il tempo, muore nel bel mezzo di una parola,
ti saluta,
come se se ne stesse andando via.
Il tempo è generoso e insieme saggio
Ascolta, Straniero!
Se cerchi un rifugio
in una capanna abbandonata di un luogo sconosciuto,
ti lascerà dei fiammiferi nascosti sul telaio della porta,
perché avrai bisogno di scaldarti forse.
Longanime, il tempo allatta la tua vita
e adotta in questo anche la tua morte,
se poi la tua gioia dormirà scoperta,
il tempo le sistemerà di nuovo le coperte.
Si cicatrizza sulle tue ferite
e per il rispetto dell’adesso arriva oggi stesso, non domani.
a cura di Farideh Mahdavi-Damghani
Nato nel 1959 a Shushtar, nella provincia di Khuzéstân, nel sudovest del paese, Ghéyssar Aminpour è stato una delle voci più autorevoli della poesia iraniana contemporanea, il cui accento fortemente spirituale avvolge tutti i temi e i tempi della vita, come nella grande cultura sciita a cui appartiene, pervasa dall’attesa dell’ultimo discendente del venerabile Profeta. Una poesia anche nostalgica e dolorosa, in cui il poeta cerca sempre di avvicinarsi al linguaggio popolare e alla responsabile mentalità semplice dei poveri. Nel 1984 pubblicò la raccolta Nelle strade del sole e subito dopo Il respiro del mattino e Gli specchi dell’improvviso affermando cosí in maniera decisa la sua posizione di poeta rivoluzionario. Cofondatore dell’Organizzazione dell’Arte e del Pensiero Islamico Persiano, professore di Letteratura Persiana presso l’Università di Teheran, era anche un critico letterario molto accreditato (specialmente rivolto ai giovani poeti), uomo molto amato dai suoi studenti e dalla gente, un punto di riferimento della cultura iraniana – anche per la sua libertà da qualunque implicazione politica – e della città di Teheran, i cui mezzi pubblici il giorno della sua morte hanno viaggiato coi segni a lutto. Ghéyssar Aminpour è morto prematuramente il 30 ottobre 2007, dopo otto anni di sofferenze per le lesioni mai recuperate di un gravissimo incidente stradale. In italiano è apparsa una scelta di suoi testi tradotti da F. Mahdavi-Damghani su «Città di Vita» (2-3/2008).
Il Tempo è nostro figlio. Infatti, non siamo noi, i figli del Tempo. Il Tempo è la nostra ombra, e inizia da sotto i nostri passi, e poi ci segue. Perché lui è il Movimento, quindi il “nome” del Movimento è la sua volontà. E nessuno ha il nome di un’altra persona! Se crescere e sbocciare hanno voce, lo stesso ritmo della “crescita” è il ritmo di “essere” e “diventare”. La voce che percorre un “Dinggg....!” e arriva l’“immortalità”... [in persiano le due parole sono in rima (n.d.t)]. Il ritmo del viaggio, da quando siamo solo un granello, fino al momento in cui diventiamo un frutto maturo... La musica della crescita e di essere sbocciati. Il Tempo, è nato da noi. Dal primo passo che facciamo, il nostro “Tempo” ha inizio. Perché il Tempo non è nient’altro che la traccia dei nostri passi nel nostro viaggio e percorso. Le tracce dei nostri passi, nella strada interiore, si chiamano “Tempo”, e le tracce dei nostri passi nella strada esteriore si chiamano “Luogo”, ed è chiaro che le tracce dei passi si formano “dopo” i passi, e non prima...
Giugno 2007
[Nota del curatore] Questa riflessione è l’ultima prosa scritta da Ghéyssar Aminpour prima della sua scomparsa. Naturalmente, sapendo il poeta che di “tempo” gliene sarebbe rimasto ben poco, alla sua disponibilità e responsabilità vogliamo offrire il più caro rispetto, oltre all’onore di aver voluto il poeta stesso pubblicare in Italia questo suo testamento poetico, ancora inedito, secondo la sua volontà, e molto atteso dagli amici poeti e colleghi in Iran.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Jacques Ancet
a cura di Fabio Scotto
Jacques Ancet è nato a Lione nel 1942. Professore di spagnolo, è autore di una trentina di opere di poesia, prosa e saggistica e d’importanti traduzioni da Giovanni della Croce, Ramón Gómez de la Serna, Jorge Luis Borges, José Angel Valente, Antonio Gamoneda, Juan Gelman, María Zambrano e vari altri autori, oltre che di saggi su Luis Cernuda e Bernard Noël. Tra sue raccolte recenti ricordiamo Un morceau de lumière (Voix d’Encre, 2005), Dyptique avec une ombre (Arfuyen, 2005), Entre corps et langage (L’idée bleue/Écrits des Forges, 2007). Ha ricevuto il “Prix de Poésie Charles Vildrac” 2006 della Société des Gens de Lettres, “Heredia” 2006 dell’Académie Française, e il “Prix Nelly-Sachs 1992” e il “Prix Rhone-Alpes” per la traduzione.
Una data
Bisognerebbe finirla con le date. Per esser qui, semplicemente. Con l’ora come un respiro sospeso – o quel chiarore improvviso e le ombre che disegna. Quella della mano, ad esempio, occupata in minuscoli gesti. Li notiamo appena. Un lieve mangiucchiare e, tutt’intorno, il rumore del giorno. La sua bellezza, la sua angoscia. Ancora una volta taccio, conto con le dita, calcolo a mente:
– Sarà presto un anno.
– Sì, un anno.
– Una data, non il presente.
– Quel che ne resta.
– Non abbiamo visto nulla.
– Non c’era nulla da vedere.
– Allora cosa?
– Da vivere.
Le parole cadono. Come la pioggia. Non formano pozzanghere. Qualche macchia di saliva. Brillano.
Da Cronaca di uno smarrimento, inedito.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Bernardo Atxaga
a cura di Paola Tomasinelli
Bernardo Atxaga (pseudonimo di Joseba Irazu) è nato nel 1951 a Asteasu, Guipúzcoa, ed è considerato il più importante scrittore in lingua basca e uno dei più grandi autori dell’attuale narrativa spagnola. È giornalista – scrive su giornali e periodici spagnoli e sul “New York Times” –, autore di oltre duecento favole per bambini, compositore musicale, saggista e poeta. Il suo primo racconto Ziutatez fu pubblicato nel 1976 e la sua prima raccolta poetica, Etiopia, nel 1978: per entrambi ricevette il Premio Nazionale della Critica come migliori lavori in lingua basca. Ma è con il romanzo Obabakoak (da cui è stato tratto l’omonimo film di Montxo Armendáriz) che la sua fama supera i confini dei Paesi baschi e della Spagna, e viene tradotto in oltre 25 lingue, tra cui l’italiano, presso l’editore Einaudi (1991). Scrive e pubblica in lingua basca, ma spesso i suoi libri, tradotti da lui stesso, escono anche in lingua castigliana. In italiano, oltre alle traduzioni apparse nel 1991 sulla rivista Linea d’ombra (come in molte altre riviste in tutto il mondo), sono stati inoltre tradotti: L’uomo solo (Giunti, 1995), Dall’altra parte della frontiera. Poesie e ibridi (Guanda, 2003), Il libro di mio fratello (Einaudi, 2007, Premio Mondello 2008, Premio Grinzane Cavour 2008).
Come la cerimonia, la poesia taglia il corso della vita normale e crea un tempo differente. Nella cerimonia, gli artefici della trasformazione sono i gesti, il movimento, la musica, il linguaggio; nella poesia solo il linguaggio.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Martha Canfield
a cura di Valerio Nardoni
Martha Canfield, nata a Montevideo nel 1949, da madre italiana e padre di origine inglese, è professore ordinario di Lingua e Letteratura Ispanoamericana presso l’Università degli Studi di Firenze, scrive in spagnolo e in italiano. Ha curato in italiano molte opere di autori ispanoamericani, tra cui M. Benedetti, J. E. Eielson, A. Mutis, e in spagnolo autori italiani quali Pasolini, Sanguineti, Bufalino. È autrice di quattro raccolte di versi in spagnolo: Anunciaciones (1977), El viaje de Orfeo (1990), Caza de altura (1994), Orillas como mares (2005), e quattro in italiano, Mar/Mare (1989), Nero cuore dell’alba (1998), Capriccio di un colore (2004) e Per abissi d’amore (2006). È consulente per la poesia italiana del Festival Internazionale di Poesia di Medellín (Colombia) e membro della giuria del Premio Internazionale di Poesia Pier Paolo Pasolini. Ha ricevuto il Premio Speciale di Poesia «La Cultura del Mare» (2000), il Premio di Traduzione «Circe-Sabaudia» (2001), un Premio di Traduzione dell’Istituto Cervantes per Inventario di Mario Benedetti (2002), e il Premio all’Opera Poetica e Culturale del Festival Internazionale di Poesia di Tetova (Macedonia, 2005).
Nell’impossibile e costante soglia fra Tempo e tempo
Il tempo del vissuto che attraversa le soglie del passato e si trasfigura in Tempo senza computo mi si presenta spesso nelle vesti di un allievo di oggi – un oggi ciclico e costante, visto che è accaduto più volte nel passato – che rievoca uno di ieri, il primo, la scoperta, l’archetipo. L’ho descritto almeno due volte nella mia poesia: una volta coi capelli biondi, un po’ lunghi; un’altra con gli stessi capelli biondi ma «furiosamente corti», con lo sguardo ossessivo oppure malinconico, uno fra tanti, seduto sempre tra gli altri, che riconosco diverso dai suoi predecessori eppure sono convinta che sia il solito. Ne ho la prova quando analizzo quell’epiteto omerico che io preferisco, «il domatore di cavalli», e lui mi sorride: allora l’intesa si crea tra di noi, e io sento che sia uguale, anzi la stessa che si era creata l’anno scorso, e l’anno precedente ancora, e ancora, in una vertigine esaltante... Il Tempo si distende e mi culla tra le sponde di tempi distanti che si toccano, nell’aria tiepida di aprile, e mi rassicura, e mi accoglie nello spazio del sogno, nel tempo di Utopia: tu torni oggi e io sono come ieri e domani vive già nella memoria dolce dei tempi convissuti.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Antonio Carvajal
a cura di Valerio Nardoni
Nato a Albolote (Granada) nel 1943, ha esordito con Tigres en el jardín (1968), a cui sono seguiti Serenata y navaja (1973), Casi una fantasía (1975), Siesta en el mirador (1979), Servidumbre de paso (1982), Extravagante jerarquía (1982), Del viento en los jazmines (1984), De un capricho celeste (1988), Testimonio de invierno (1990), Miradas sobre el agua (1993), Raso milena y perla (1996), Alma región luciente (1997), Columbario de estío (1999), Diapasón de Epicuro (2004), Los pasos evocados (2004) e Una canción más clara (2008); i libretti d’opera Mariana en sombras, con musica di Alberto García Demestres, e Don Diego de Granada (2004), i volumi di saggi De métrica expresiva frente a métrica mecánica (1995) e Metáfora de las huellas - Estudios de métrica (2002), e le edizioni commentate dei Sonetos de Azul a Otoño di Rubén Darío (2004) e Poemas mágicos y dolientes di Juan Ramón Jiménez (2005); in collaborazione con Juan Ramón Torregrosa, le antologie Hoy son flores azules e Mañana serán miel (La tradición oral en la Generación del 27). Tra le sue antologie personali si ricordano in particolare Rapsodia andalusa (1995) e Poemi di Granada e altri versi (2005) tradotti in italiano da Rosario Trovato e Si proche de Grenade (2005, París, Seghers). Attualmente dirige la Cattedra García Lorca dell’Università di Granada, dove è professore ordinario di Metrica.
Entrato già da anni nell’età che i classici chiamano provetta, il passo veloce del tempo mi impedisce di trattenerlo per riflettere sul Tempo. Detto in altro modo, avendo letto le riflessioni da Eraclito a Bergson, sarei più vicino a Agostino se non fosse perché, fedele alla tradizione spagnola fissata dal poeta Jorge Manrique, anch’io do già per passato il non venuto. In altre parole, l’acuta percezione della fugacità della vita ha fatto sì che io mi installassi nel vissuto senza preoccuparmi di fissarlo in quella cattiva coscienza chiamata memoria; ho così l’intima sensazione di vivere il tempo in modo speculare rispetto all’adolescenza, e questo mi permette di vedere la mia vita in un’immagine virtuale inversa, come un Narciso che, invece di avvicinarsi all’acqua, se ne allontanasse.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Bernard Chambaz
a cura di Fabio Scotto
Bernard Chambaz è nato a Boulogne-Billancourt nel 1949, ha compiuto studi di lettere moderne ed è professore di storia al Lycée Louis-le-Grand di Parigi. Figlio di Jacques Chambaz, dirigente di spicco del Partito Comunista Francese negli anni ’70, la sua opera è caratterizzata da un’intensa e appassionata riflessione storico-politica (L’Humanité (1904-2004), Seuil, 2004), da racconti di viaggio (Petit voyage d’Alma-Ata à Achkhabad, ivi, 2003; A mon tour, ivi, 2003), da saggi sull’arte (Le Principe Véronèse, la Sétérée, 1987; La Dialectique Vèronèse, ivi, 1989, Œil noir (Degas), Flohic, 1999) ed è segnata dal grave lutto per la perdita del figlio adolescente Martin (Martin cet été, Julliard, 1994). Appassionato sportivo, ha praticato il ciclismo effettuando in solitaria un Tour de France, un Giro d’Italia (Evviva l’Italia: ballade, Panama, 2007, trad. it: Ponte alle Grazie, 2008) e un Giro di Spagna. Tra i suoi nove romanzi ricordiamo L’Arbre des vies (F.Bourin-Julliard, 1992, “Prix Goncourt” per l’opera prima) e, presso Panama, i recenti Kinopanorama (2005) e Yankee (2008, “Prix Louis-Guilloux”). Molto legato all’Italia, è autore di sette raccolte poetiche, tra le quali Italiques deux (Seghers, 1992), e, tutte da Flammarion, Entre-temps (1997), Échoir (1999), Été (2005, “Prix Apollinaire”). In italiano suoi testi tradotti a cura di F. Scotto in «Hortus» (21/1988) e in Nel pieno giorno dell’oscurità. Antologia della poesia francese contemporanea (a cura di F. Pusterla, Marcos y Marcos, 2000).
Da dove ricominciare, ripartire, il problema davvero non si pone. Riparto dal solo punto possibile, tu, piccolo m-pescatore, si riparte insieme all’assalto del canto sesto, quindi ricomincio a contare come la principessa araba delle Mille e una notte e dei cinque primi canti e ricomincio a contare come i bambini al corso di aritmetica quando fanno le operazioni e anche se la cosa ti lascia piuttosto indifferente ti annuncio che siamo già al quattromilacinquecentottantatreesimo giorno e altrettante notti e se contate i secondi e moltiplicate il tutto avete una vaga idea di tutto il tempo che si può passare pensando a lui e avete una vaga idea di quanto tempo sia passato da che non è più qui, e so bene che riprendo la poesia per ritornare quanto più vicino possibile a te umanamente con le parole al loro posto mai fisso e che il tempo salvo che in poesia davvero non passa più.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Daniela Crasnaru
a cura di Oana Bosca Malin
Daniela Crasnaru, nata a Craiova nel 1950, è considerata uno dei poeti contemporanei romeni più rilevanti della sua generazione. La sua opera, che comprende 15 volumi di poesia, 2 volumetti di prosa e 3 libri per i ragazzi, è tradotta in oltre 15 lingue. Nel 1991, la casa editrice Oxford ha pubblicato una sua raccolta di poesie Letters from Darkness, nominata fra i primi 10 titoli apparsi in quell’anno in Gran Bretagna. L’ampia antologia Sea-Level Zero apparsa nel 1999 negli Stati Uniti presso BOA Editions nella collezione “grandi Poeti Europei”, è stata insignita del premio dell’Accademia di Poesia americana ed è diventata oggetto di studio nelle università americane. Laureata in filologia inglese, ha fatto studi approfonditi di management culturale presso l’Iowa University (SUA). Daniela Crasnaru è editrice, giornalista, realizzatrice di programmi tv. Ha ricoperto per alcuni anni l’incarico di deputato nel Parlamento Romeno, è stata segretario della Commissione per la Cultura dello stesso, ed inoltre, l’unica donna presidente di un partito parlamentare. Altri premi: Premio della Fondazione Rockefeller (1995), Crossing Bounderies Award (1996) Premio dell’Accademia Romena (1992), tre premi accordati dall’Unione degli scrittori Romeni (1979, 1982, 1983).
Nel passato a quelli che soffrivano di pressione alta venivano aperte le vene affinché si placasse un po’ l’impeto del sangue. Ho sempre immaginato il poeta come un simile malato che, a causa della troppo grande tensione interiore, deve aprirsi da solo le vene nelle quali scorrono le parole. Una terapia che ti aiuta a vivere normalmente accanto agli altri, liberandoti dal troppo pieno che ti porti dentro. Il tempo della poesia è l’intervallo tra due battiti di un cuore indistruttibile. Non può essere misurato con nessun apparecchio terrestre. L’involucro d’argilla del poeta muore, ma le parole restano, continuano a pulsare sulla carta sulla quale sono state scritte “guarendo” in aeternum colui che legge dallo stesso impeto del sentire.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Fabrizio Dall’Aglio
Fabrizio Dall’Aglio è nato a Reggio Emilia nel 1955. Ha pubblicato: Quaderno per Caterina (1984), Versi del fronte immaginario (1987), L’idolo sorridente (1994), Hic et nunc (presentazione di Mario Luzi, 1999, premio Montale e premio Il Ceppo Proposte; traduzione spagnola a cura di Sarah Pelusi, 2008), La strage e altre poesie (a cura di Valerio Nardoni, 2004, premio Città di Penne), L’altra luna (presentazione di Mario Specchio, 2006, premio Camposampiero e premio Caput Gauri).
Molti cominciano scrivendo poesie, alcuni ci finiscono.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Ulrike Draesner
a cura di Camilla Miglio
Ulrike Draesner, nata a Monaco nel 1962, attualmente vive e lavora a Berlino come narratrice, poeta e saggista. La sua prima raccolta poetica gedächtnisschleifen appare nel 1995, a cui seguono für die nacht geheuerte zellen (2001), kugelblitz (2005), berührte orte (2008); il romanzo Spiele (2005) e il libro di racconti Hot Dogs (2004). È traduttrice di poesia dall’inglese – Hilda Doolittle, Louise Glück, e la raccolta completa dei sonetti di Shakespeare (To change the subject, 2000) –, si occupa di progetti on-line e multimediali, ed ha condotto molti interventi in Germania e all’estero come Visiting professor (Kiel, Birmingham, Bamberg, Leipzig). Per la sua opera sia in prosa sia in poesia ha ottenuto numerosi riconoscimenti fra i quali il Premio della Critica (2002) e il Drostepreis (2006).
Cos’è una poesia – oggi?
Ornamento, passatempo, un quickie nella ridda di informazioni, un assaggio di sentimento? Anacronistico, o accelerato, un breve brano di canzone d’altri tempi?
Forse non si deve domandare che cosa una poesia potrebbe essere, ma come a un certo punto qualcosa diventa una poesia.
Qui c’erano: un viaggio. Il ricordo di questo. Troppi colori forse – fino al punto della trasformazione: trans lucenti. Una parola estranea al tedesco: trans e lucere – passaggio attraversato dalla luce. Ciò che riverbera – come ventagli (delle ali dei gabbiani, spruzzate), come un pezzo di pelo che si disperde. Impostati con la parola “impressi”: imprimere qualcosa, premere – esercitare una pressione. Anche: Senza. Forse: senza nient’altro che il ricordo.
Essere insieme, ensemble. Un rosso appare, lieve. Anche cercare, mettere insieme, permettendo alle parole di stampare una copia di sé sui loro vicini, su altre parole nella poesia, pure distanti – lievi, ma percepibili nello spazio: dico fino a quando non si forma un’atmosfera. Solo allora la luce si diffrange – solo allora si dispiegano i colori.
Impressione e ingestione: colore è ciò che la materia restituisce e riverbera.
Che gli occhi si possano aprire ancora – una seconda volta, prego – una terza.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
HouShang Ébtéhâj
a cura di Farideh Mahdavi-Damghani
Nato nel 1927 a Rasht, nel nord dell’Iran, nella provincia di Ghilân, vicina al mare Caspio, Houshang Ébtéhâj (noto col suo pseudonimo Ombra), durante i conflitti politici degli anni 50 dell’Iran, si inclinò verso la poesia popolare. La sua prima raccolta di poesie (I primi canti) fu pubblicata nel 1946 quando era ancora al liceo. Cinque anni dopo, pubblicò Miraggio e nel 1953 Gli esercizi di calligrafia – attività fondamentale nella scrittura araba, in cui si riempiono quaderni interi fino a farli diventare interamente neri per capire e abbellire la propria scrittura – e un’altra raccolta, L’alba, in cui si avvicinava molto alla poesia classica persiana. È un poeta che cerca sempre di offrire una nuova voce, un nuovo senso, maturo e tuttavia semplice alle verità fondamentali. La sua poesia spazia dallo stile tradizionale della poesia persiana, allo stile nuovo della poesia moderna, nella quale tenta di infondere serietà e colore insieme. Altre raccolte di rilievo sono: Terra (1955), Qualche foglio di Yaldâ (1965) – Yaldâ è il solstizio d’inverno, in Persia festeggiato; e, pubblicate nello stesso anno 1980, le raccolte Gli esercizi di calligrafia 1, 2 e 3, e Lo specchio dentro lo specchio (introduzione di M. R. Shafi’i Kadkani), e nel 1991 Nel ricordo del sangue del cipresso. Soggiorna spesso in Europa e ha conosciuto grandi personalita internazionali del monde della cultura, della poesia e della letteratura.
Quelli che non sono venuti mai e quelli che sono andati via, tra le due rive del “Tempo”, stanno correndo verso di Te... O, Tu che Sei sempre al centro...!
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Antonio Gamoneda
a cura di Valerio Nardoni
Antonio Gamoneda è nato a Oviedo nel 1931. L’anno seguente muore suo padre e nel 1934 si trasferisce con la madre nella città di León dove ancora oggi vive e lavora. Entrambe le figure assumono un ruolo decisivo nella sua poesia, la cui origine è radicata proprio nella ravvicinata condivisione degli affetti e del dolore, e specialmente l’archetipo femminile e materno ne costituisce fin dai suoi Primeros poemas (1947-53), fino agli ultimi libri Arden las pérdidas (2003) e Cecilia (2004) uno dei principali sostegni. La sua formazione può definirsi da autodidatta e certamente estranea a qualunque corrente che potesse dirsi della cultura ufficiale: cresciuto con notevoli difficoltà economiche nei sobborghi operai di León, inizia già nel 1945 a lavorare come commesso in una banca, dove resterà per ventiquattro anni. Sarà poi impiegato nella Deputazione Provinciale per otto anni (fonda la collana “Provincia”) fino al licenziamento per mancanza di titoli di studio. Sarà in seguito gerente della Fondazione Sierra-Pambley volta all’educazione di contadini e operai. Di posizione fortemente antifranchista, fino alla morte del dittatore pubblica soltanto Sublevación inmóvil (1960). Descripción de la mentira (1977), dopo il lungo silenzio, fa segnare un radicale mutamento della sua poetica: Gamoneda trova la sua voce e il suo caratteristico versificare dal ritmo ampio e massiccio, affermando anche il carattere profondamente etico della sua poesia e umanissimo della sua visione del mondo. È soltanto dagli anni ottanta che la sua poesia ha iniziato a diffondersi ed imporsi nel panorama nazionale e internazionale. Nel 1985 vince il premio Castilla y León de las Letras e nel 1987 il Nacional de Poesía, per il volume Edad in cui si raccoglieva, o meglio, recuperava, la sua opera scritta fino a quel momento, oggi sostituita dal volume Esta luz. Poesía reunida (1947-2004). Nel 2006 ottiene il Premio Cervantes, il più importante riconoscimento del mondo letterario ispanico.
Il tempo è la misurazione ritmica della distanza che separa l’inesistenza dall’inesistenza.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Christian Hubin
a cura di Fabio Scotto
Christian Hubin è nato a Marchin (Belgio) nel 1941. Laureato in Lettere e Filosofia è stato professore. Ha esordito in poesia con Orphéon (F.D.R., 1962) e la sua opera comprende vari volumi di note critiche e oltre venti raccolte poetiche, tra le quali le recenti Tombées (2000), Le Sens des perdants (2002), Venant (2002) e Laps (2004), tutte apparse a Parigi presso le edizioni José Corti, cui si sono ora aggiunte Sans commencement (Éd. Une Saison en Poésie, 2007), Serrant (Éditions Poliphile, 2007). Tra i riconoscimenti ricordiamo il “Prix Antonin Artaud 1975” per La parole sans lieu (La Fenêtre ardente, 1975), il “Prix du Mont Saint-Michel 1984” per l’insieme della sua opera e il “Prix triennal de Poésie de la Communauté française 1991”.
Tutta la mattina a scrivere. Cielo blu di gelo. Una lepre corre nella neve. Il silenzio fa del tempo, della sua infinità, una lieve nube di vapore sopra una falesia. Non è nessuna ora, – è l’inizio degli inizi, l’aρχη. Il rossore del cielo erode i nomi, la lepre zigzagando s’avvicina a quei secondi che stanno per finire, dei quali è la punteggiatura, – che, ecco, sono finiti. Come notare l’affiorare di ciò che non è la durata? La bellezza chiama e fa paura: è insopportabile. Si scrive, forse, per attenderla o voltarle la schiena. Novemila faccette dell’occhio della mosca, ala ingrandita di un macaone, geroglifici delle tombe, costellazioni invisibili che s’apriranno attraverso stimmate. Penso all’assorbimento, alla compenetrazione dei sensi, all’etimologia del mondo – a quella stridulazione del grillo una sera, quando ha taciuto il Diatope di Xenakis.
Da Parlando da solo, inedito.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Clara Janés
a cura di Valerio Nardoni
Clara Janés (Barcellona 1940), vive a Madrid dal 1964, ma la sua è una vita ricchissima di viaggi alla riscoperta di luoghi e personaggi legati al suo mondo poetico, come Vladimir Holan, da cui scaturisce la raccolta Kampa (1986), o i prolifici contatti col mondo e la cultura islamica. Autrice anche di romanzi e di saggi, è una traduttrice di grande rilievo (Premio Nacional de Traducción 1997). Fin dalle sue prime raccolte in versi – Las estrellas vencidas (1964) e Límite humano (1973) – emerge con forza uno dei temi che segneranno la sua poetica: il desiderio di oltrepassare la materialità e di raggiungere spazi di assoluto. A partire dalle raccolte Eros (1981), Vivir (1983) viene spesso definita come intensa poetessa dell’amore, che si esprime come ricerca di una comunione quasi mistica con il cosmo. Fra le sue ultime raccolte Los secretos del bosque (Premio Gil de Biedma 2002) e Fractales (2005). Si segnalano in fine Arcángel de sombra (1999), tradotto in italiano da Annelisa Addolorato (Crocetti, 2005); e La indetenible quietud (2008), che riproduce un libro d’arte realizzato col grande scultore Eduardo Chillida.
Un pensiero di poetica, sul rapporto fra tempo e Tempo
Fin dal principio ho definito la poesia riferendomi al tempo. Dicevo che era un ritmo, il ritmo stesso, il ritmo dei passi, e che i passi nel loro susseguirsi misurano il tempo. Quei passi erano concreti, percorrevano un qui in relazione ad un laggiù e un adesso in relazione ad un poi, in entrambi i casi facevano saltare in un istante la contrapposizione con il non tempo – il fuori dal tempo – e il non tragitto – no, cambio, l’essenza –. Ma nel suo nascere, una poesia svela altri livelli ancora. Rispetto alla questione del tempo, alcuni anni fa ho scritto : «Il premio Nobel Ilya Prigogine, alla biennale poetica di Liegi del 1984 che trattò il tema Poesia anno 2000, nel suo intervento Scienza e letteratura, uno stessa questione?, parlò di un tempo interiore e di un tempo esteriore, rifiutando l’idea datata secondo la quale il tempo è dentro di noi. Disse: “Nella concezione classica, il presente era come un punto perduto tra l’infinito del passato e l’infinito del futuro, mentre oggi consideriamo il presente come un durata finita, incomprensibile, che misura essenzialmente il modo in cui il tempo è necessario perché il passato scompaia nell’oggetto e faccia spazio al futuro [...] iniziamo a comprendere la storia della materia e della vita come un’acquisizione dell’autonomia del tempo, un’acquisizione progressiva di questa autonomia”. Quel tempo autonomo è il tempo delle successioni, ma quello che si incarna nella poesia è un altro, è il tempo mitico. Quanto al tempo storico, lo stesso Prigogine ricordava che Aristotele “aveva concluso che il tempo è il numero del movimento nella prospettiva fra ciò che precede e ciò che succede”. Il tempo mitico, invece, è pienezza puntuale capace di affondare, come diceva Octavio Paz, “nelle acque primordiali dell’esistenza”. La parola poetica come raggiunge quelle acque primordiali?, come riesce a collocarsi in quel tempo mitico? Attraverso il ritmo, che è una delle sue caratteristiche. Questo ritmo è fondamentalmente chiamato ritmo comune, la cui espressione è l’analogia. L’analogia avvicina l’apparentemente distante e, invece di muoversi nelle successioni, lo fa nella trasparenza nel presente di spazi e di tempi. Attraverso di essa si vivifica tanto l’arte come l’esistenza e entrambe assumono una forma espansiva e di ampia significazione».
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Mohammad Réza Shafi’i Kadkani
a cura di Farideh Mahdavi-Damghani
Nato nel 1939 nel piccolo villaggio di Kadkan al nord, nella provincia di Khorâssân, in una famiglia colta, Mohammad Réza Shafi’i Kadkani ha passato la sua adolescenza a Mashad, la città dell’Iran più importante per la fede sciita, dov’è sepolto l’ottavo Imam, discendente del Venerabile Profeta dell’Islam. Professore di letteratura persiana presso l’università di Teheran, saggista e critico letterario, dal 1965 a oggi ha pubblicato molte raccolte poetiche: Nei giardini di Neyshâbour, I sussurri, Come un albero sotto la pioggia, Essere e fare la poesia, Tra il linguaggio della foglia, Il secondo millenario della gazzella di montagna, ecc. La poesia di Kadkani – considerato il più grande poeta persiano vivente – è una poesia affascinante, che si mescola con le immagini della natura, della società e soprattutto dell’amore, con una visione tipicamente mistica.
Nella cultura persiana esiste una parola, che appare come un proverbio, oppure come una parola saggia, e che alcuni dicono che è la Parola del nostro venerabile Profeta, e questa saggezza dice: “Tutte le cose hanno il proprio linguaggio, e la lingua che appartiene ai tempi e alle epoche è proprio la Poesia”. Ogni volta che mi metto a riflettere su questa frase profonda, mi viene un profondo rimpianto, perché la poesia della nostra epoca, che è la lingua e il linguaggio dei nostri tempi, si è imposta della privazioni e si impedisce di interessarsi alle tristezze, alle nostalgie e alle gioie eterne che sono sempre esistite; e anche alle ansie che appartengono solamente all’uomo contemporaneo... e col pretesto del “modernismo” o del “post-modernismo” e gli altri “ismo” che ci sono, rifiuta di compiere il suo dovere naturale e storico...
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Tomaso Kemeny
Tomaso Kemeny, nato a Budapest nel 1938, dal 1948 vive a Milano ed è professore ordinario di Letteratura Inglese presso l’Università di Pavia. Ha scritto articoli, saggi, libri sull’opera di Ch. Marlowe, W. Shakespeare, W. Blake, P.B. Shelley, W. Scott, L. Carroll, D. Thomas, E. Pound e J. Joyce. Ha pubblicato otto libri di poesia di cui ricordiamo Il guanto del sicario (New York, 1976), Il libro dell’angelo (Milano, 1991), Melody (Milano, 1998) e La Transilvania liberata (Milano, 2005). Ha composto il testo drammatico La conquista della scena e del mondo (rappresentato la prima volta nel 1996) e ha pubblicato il romanzo Don Giovanni Innamorato (Milano, 2002). Ha tradotto e curato l’opera di Lord Byron (Milano, 1993) e volto in italiano l’epilio Ero e Leandro di Ch. Marlowe (Milano, 1994). In Notturno (55 a.C. -1992) ha selezionato e volto in italiano poesie da otto lingue (Milano, 1992). Con il filosofo Fulvio Papi ha scritto Dialogo sulla poesia (Pavia, 1997) e ha pubblicato un libro di poetica L’arte di non morire (Udine, 2002). Con Cesare Viviani ha organizzato i seminari sulla poesia presso il Club Turati di Milano (1979 e 1980) e curato i relativi atti: Il movimento della poesia italiana negli anni ’70 (Bari, 1979) e I percorsi della nuova poesia italiana (Napoli, 1980). Tra i fondatori del Movimento Internazionale Mitomodernista, con Giuseppe Conte e Stefano Zecchi, ha curato lo Almanacco del mitomodernismo 2000 (Alassio, 2000). È uno dei fondatori di “La Casa della Poesia” di Milano.
In margine all’esperienza del Tempo
Un metadiscorso, un discorso in grado di protendersi fuori dallo scorrere degli istanti, nell’illusione che vi sia un’uscita dal labirinto multilivellare del tempo, per me non può che oltrepassare le pretese della comunicazione, per esprimersi, aldilà della logica, secondo le analogie (“il demone dell’analogia”) necessarie al verso poetico, in grado di articolare le immagini multilivellari del Tempo simultaneamente. Ma per correttezza verso l’epoca del mito della comunicazione, mi affido al pensiero logico-analitico (con una certa pena) per squadernare la tipologia di quelle che per me sono le forme essenziali della rappresentazione parziale del Tempo multilivellare:
a.“il tempo biologico”, ovvero la durata collettiva e individuale di quell’avventura che chiamiamo vita.
b.“il tempo storico”, ovvero le epoche narrate dalla prospettiva delle varie etnie.
c.“il tempo erotico”, ovvero la durata meravigliosa di quello illusorio “sempre” che lega gli innamorati.
d.“il tempo poetico”, ovvero la monumentalizzazione (“exegi monumentum…”) della lingua di un popolo in una data epoca.
e.“il tempo metafisico”, ovvero la prospettiva consolatoria offerta dalle varie religioni e filosofie idealiste.
f.“il tempo utopico”, ovvero la promessa di varie ideologie di quella giustizia e di quella felicità in terra a cui aspirano le persone per bene.
g.“il tempo dell’ispirazione poetico-artistica”, ovvero quei momenti privilegiati, non privi dell’aura dell’eterno, in cui l’enigma della bellezza mostra una dei suoi volti possibili all’ispirato.
h.“il tempo mitico-cosmico”, ovvero il tempo ciclico delle stagioni e il tempo eroico-erotico-eretico dello “eterno ritorno”.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Yusef Komunyakaa
a cura di Federico Mazzocchi
Nato a Bogalusa, in Lousiana, nel 1947, attualmente insegna alla New York University ed è membro della Fellowship of Southern Writers. Primo di cinque figli, Komunyakaa crebbe durante l’epoca della guerra civile. Un’esperienza che di certo segnò la sua vita fu quella del servizio militare (1965-67) nel Vietnam del Sud. Qui egli fu editorialista del Southern Cross, il giornale militare, fatto che gli valse una medaglia di bronzo. Nel 1973 iniziò a scrivere poesia, guadagnando un Bachelor’s degree (University of Colorado, 1975), un M. A. in Creative Writing (Colorado State University, 1978) e un M. F. A. in Creative Writing (University of California, Irvine, 1980). La sua produzione poetica da allora è particolarmente prolifica, più dieci raccolte, recentemente riunite nel volume Pleasure Dome (2001). Negli ultimi anni ha anche ricevuto numerosi riconoscimenti, a partire dal Premio Pulitzer (1994) per la raccolta Neon Vernacular e il Ruth Lilly Poetry Prize (2001). Di recente si segnala l’adattamento drammatico del poema epico Gilgamesh (2004).
Tempo è diverso da tempo. Perlomeno questo è ciò che penso mentre sono qui seduto sulla spiaggia di Treasure Beach, in Giamaica, a fissare a notte fonda il firmamento di questa stagione primaverile, e intanto sento il ritmico rifluire del mare, catturato per un istante nel suo suono eterno. Sì, in questo momento non posso far altro che pensare a un Tempo con la lettera maiuscola, quasi aldilà dell’immaginazione dell’uomo e delle sue illusioni di controllo, un Tempo che non presta servizio né a noi né alle nostre invenzioni, mentre la natura continua a pulsare nella sua immensa, accidentale perfezione. Certo, in quanto poeta sono sempre conscio anche dell’importanza di un tempo con la lettera minuscola: una costruzione umana, così come lo potrebbe considerare un musicista. Poiché credo che il linguaggio sia la nostra prima musica, si potrebbe dire che noi parliamo il tempo; ma il tempo come ritmo non è né il Tempo metafisico né un’approssimazione del mistero. Il Tempo è mistero: è l’alfa e l’omega della pena e dello sgomento. Indubbiamente alle volte il Tempo è ciò contro cui noi umani abbiamo l’audacia di sognare di misurarci. Da questo punto di vista, esso è ciò che in assoluto ci sminuisce di più. Il Tempo è sempre in guerra con i nostri dei.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Franco Loi
Franco Loi è nato a Genova nel 1930 da una famiglia sarda e vive a Milano dal 1937, città della quale ha adottato il dialetto. Traduttore e saggista, dalla fine degli anni ’80 è stato un rilevante critico letterario per «Il Sole 24 ore» incoraggiando l’uso poetico dialettale. Il suo linguaggio poetico nasce dalla libera mescolanza di elementi linguistici di varia natura: gerghi, idioletti ecc. di area proletaria e contadina, spesso reinventati dalle sue peculiari esigenze espressive. Dopo le raccolte I cart (1973), e Poesie d’amore (1974), si è affermato soprattutto con la raccolta Stròlegh (1975). Seguono molte altre raccolte fino alla più recente Isman, pubblicato da Einaudi nel 2001.
La poesia è come il formarsi in te di una nuova dimensione del mondo. Non dici quel che vedi nella mente, ma quel che è nascosto nell’anima. Anche per questo è un invito a conoscere. Come ho scritto più volte, “dentro la parola aperta io mi perdo / divento le cose del mondo, l’aria che passa, / quella parola che sta dietro l’aria / e si fa coscienza agli occhi che stanno nel tempo”.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Teresa Rita Lopes
a cura di Laura Naldini
Teresa Rita Lopes, nata a Faro nel 1937, docente universitaria, ricercatrice e scrittrice, ha insegnato 13 anni alla Sorbona, dove difese la tesi di dottorato su Pessoa: Fernando Pessoa et le drame symboliste: héritage et création (3ª edizione Paris, La Différence, 2005), proseguendo sempre nello studio e nella divulgazione anche di edizioni critiche (Álvaro de Campos, Libro de Versos, Lisbona, 1993), e molti inediti del grande autore portoghese (Pessoa por Conhecer, Lisbona, 1990, Premio Pen Club), di cui oggi è una delle massime esperte mondiali. Fra l’altro, ha pubblicato in francese due montaggi di testi di Pessoa: F. Pessoa et le théãtre de l’être (Paris, 1991) e Le Privilège des Chemins, (Paris, 1991), rappresentato dalla Comédie Française, nel settembre 2004. Autrice di fama internazionale anche di prosa e specialmente di teatro (l’editore Imprensa Nacional-Casa da Moeda sta pubblicando il suo Teatro reunido). Sette le sue raccolte poetiche: Os dedos os dias as palavras, Porto, Figueirinhas, 1987 (Prémio Cidade de Lisboa); Por assim dizer, Lisboa, ed. De Viva Voz, 1994; Cicatriz, Lisbona, Presença, 1996 (prémio Eça de Queirós); Afectos, Lisbona, Presença, 2000; Jogos, Presença, 2001; A Nova Descoberta de Timor, Lisbona, Imprensa Nacional-Casa da Moeda, 2002 e A Fímbria da Fala, Porto, Ausência, 2004. Sue poesie sono tradotte in francese, italiano, castigliano, catalano, rumeno, sloveno, tedesco.
Il tempo e il Tempo
1
Del tempo parlano tutti come di un bene prezioso
Avere o non avere tempo
questo è il problema
tempo per guadagnare
soldi fama
ma non hanno neppure tempo per contare il capitale
accumulato
e molto meno per rincontrare se stessi
un giorno intero
sulla spiaggia deserta del Tempo
2
Buttare l’orologio che ci comanda
con briglia
corta
che ispido ci sferza
ah! fare linguaccia
al tempo!
Io invece voglio l’altro
quello con lettera grande
quello che cantando manda il girotondo dei mesi bambini
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Valerio Magrelli
Valerio Magrelli, nato a Roma nel 1957, ha pubblicato cinque libri di versi. I primi tre (Ora serrata retinae, Feltrinelli 1980, Nature e venature, Mondadori 1987, Esercizi di tiptologia, Mondadori 1992), sono stati riuniti nel volume Poesie e altre poesie (Einaudi 1996), cui hanno fatto seguito il poemetto Didascalie per la lettura di un giornale (Einaudi 1999) e la raccolta Disturbi del sistema binario (Einaudi 2006). Sempre da Einaudi, nel 2003, sono uscite le prose intitolate Nel condominio di carne. Docente di letteratura francese all’Università di Cassino, ha diretto la collana di poesia “La Fenice” Guanda e la serie trilingue “Scrittori tradotti da scrittori” Einaudi. Nel 2002, l’Accademia Nazionale dei Lincei gli ha attribuito il Premio Feltrinelli per la poesia italiana.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Thomas McCarthy
a cura di Alessandro Gentili
Thomas McCarthy nasce nella contea di Waterford nel 1954. Si laurea in Lettere all’università di Cork. È di frequente negli Stati Uniti per letture di poesie, convegni e seminari. Nell’anno accademico 1994-95 insegna al Macalester College nello stato del Minnesota. Da molti anni lavora alla biblioteca comunale di Cork. Fra le sue opere poetiche ricordiamo: The First Convention (!978), The Sorrow Garden (1981), The Non-Aligned Storyteller (1984), Seven Winters in Paris (1989), The Lost Province (1996), Mr Dineen’s Careful Parade, New & Selected Poems (1999), Merchant Prince (2005). Autore anche di un ‘memoir’ in prosa, Gardens of Remembrance (1998). In Italia, una scelta di poesie di McCarthy è presente in Rosa di macchia, antologia della poesia irlandese dopo Yeats, a cura di A. Gentili (Passigli, 1992).
Non so quando il tempo resti, fermo. Non so se sia quando la poesia viene scritta o se sia nei minuti prima che la poesia divenga poesia. A volte, prima che una poesia venga scritta, il tempo è rimasto fermo per anni e anni nella vita del poeta. Una poesia breve può comprendere tanti anni. È proprio come una danza. Una danza è un’antologia di movimenti che vengono insieme e congiunti da quel singolo momento di esecuzione. Quando in macchina mi fermo brevemente a guardare il momento intenso del cielo e dell’acqua oltre Oughterard nella contea di Galway, un momento proprio del Connemara, so che il tempo è restato, fermo, e si è aperta la possibilità della poesia. Resta sì il tempo, fermo, nella poesia, ma la poesia è anche entrata nel tempo. Poesia è tempo e musica che accompagna.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Mariella Mehr
Mariella Mehr è nata a Zurigo nel 1947 da una famiglia jenische alla quale è stata strappata per essere consegnata a famiglie affidatarie, orfanotrofi, istituti psichiatrici, ha subito violenze, stupri, elettroshock, e all’età di diciotto anni, come era accaduto a sua madre, le hanno tolto il figlio ed è stata resa sterile. Nel 1996 si è stabilita in Toscana dove tuttora vive. Mariella Mehr ha fatto della denuncia della persecuzione del suo popolo in Svizzera (un fenomeno di cui si sapeva pochissimo fino alla fine degli anni ottanta) il centro della propria scrittura. Dapprima in un libro, Kinder der Landstrasse, che raccoglie tra l’altro la documentazione che la riguarda (atti giudiziari, perizie psichiatriche, ecc.), poi nella trilogia della violenza che comprende Daskind (sicuramente il più forte, il più duro e anche nella scrittura il più acuto dei tre, ricorda per potenza espressiva Il grande quaderno di Agota Kristof), Brandzauber (tradotto in italiano con il titolo Il Marchio edito da Tufani, 2001) e Angeklagt (Accusata).
Il romanzo è fatica. Si vedono sempre gli errori, anche quando il romanzo è finito non si è mai contenti fino in fondo. La poesia invece è una cosa che rende felici. La scrivi, l’aggiusti e poi dici, ecco questo è il meglio che posso dare di me ora, ed è la felicità.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
John Montague
a cura di Alessandro Gentili
John Montague nasce nel 1929 a Brooklyn, New York, dove, per motivi politici, nel 1925 si era dovuto trasferire il padre dall’Irlanda del Nord. All’età di quattro anni viene mandato a vivere con due zie paterne nel podere di famiglia nel territorio di Garvaghey nella contea di Tyrone in Ulster. Si laurea in Inglese e Storia all’University College di Dublino. Nella prima metà degli anni cinquanta è negli Stati Uniti per proseguire gli studi. Nel 1956 rientra a Dublino, dove inizia una lunga collaborazione con Liam Miller, editore intraprendente e fondatore della Dolmen Press. Negli anni sessanta è a Parigi, anche come corrispondente di “The Irish Times”. Ritorna in Irlanda nel 1972 per accettare l’incarico di docente di letteratura inglese all’Università di Cork. Nel 1989 viene nominato ‘Distinguished Professor’ presso il New York State Writers Institute dell’Università di Albany. Nel 1999 gli viene conferita l’Ireland Chair of Poetry, la cattedra di poesia presso le università di Irlanda, del Sud e del Nord. Fra le sue opere poetiche: Forms of Exile (1958), Poisoned Lands (1961), A Chosen Light (1967), Tides (1971), The Rough Field (1972), A Slow Dance (1975), The Great Cloak (1978), The Dead Kingdom (1984), Mount Eagle (1989), The Love Poems (1992), Time in Armagh (1993), Collected Poems (1995), Smashing the Piano (1999), Drunken Sailor (2004). È autore anche di una raccolta di racconti brevi, An Occasion of sin (1992), di un romanzo breve, The Lost Notebook (1987), e di due volumi di memorie, Company: A Chosen Life (2001) e The Pear Is Ripe (2007). In Italia, una scelta di poesie di Montague è presente in Rosa di macchia, Antologia della poesia irlandese dopo Yeats, a cura di Gentili (Passigli, 1992), che per lo stesso editore ha curato inoltre Il quaderno smarrito [The Lost Notebook] (1995), e Il campo abbandonato [The Rough Field] (1998).
“Il tempo copre una moltitudine di peccati”.
“È tempo, signori, per favore” è la richiesta, disperata, dell’oste inglese agli ultimi bevitori che tirano a far tardi.
“Tenete il tempo” ordina lo ‘chef d’orchestre’.
“Si sconta il tempo della pena” quando si finisce in prigione.
“Si ammazza il tempo” quando giusto si tira a far passare il tempo.
“Si trova il tempo” quando si aggancia un probabile amore.
La parola Tempo rende le battute di una poesia o di un pezzo musicale, le cadenze che durano. Laddove la parola tempo si riferisce alla lettura di una poesia, che ha luogo in un periodo di tempo, poiché si tratta di una forma di arte temporale, opposta ad una spaziale, quale la pittura. Eppure, una poesia è destinata a sopravvivere nell’eternità, che è tempo senza fine.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Les Murray
a cura di Gaetano Prampolini
“Autobiografia in dieci righe”: la residenza temporale di Les Murray si trova nel bel mezzo di una rima: vive in un piccolo podere tra Forster e Gloucester, nell’Australia orientale. Sua moglie si diletta del canto degli uccelli campestri e il prozio che avviò il podere coltivava granturco come carburante per i cavalli che ai suoi tempi facevano da motore nei trasporti. Essendo un teorico dell’agricoltura, al poeta piacerebbe vedere il carburante tornare ad essere un prodotto agricolo. Nell’attesa ha pubblicato tredici raccolte di poesie ed è stato tradotto in sedici lingue.
Tempo spaziale e tempo reale
in gran silenzio scorrono,
tempo di musica e temporale
far gran baccano possono:
DI TUTTI PADRE FU UN ROLLING STONE.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Giulia Niccolai
Giulia Niccolai è nata a Milano nel 1934 dove vive e lavora. Negli anni settanta fondò e diresse con Adriano Spatola la rivista di poesia «Tam Tam». Nel 1985, dopo una grave malattia, ha incontrato il Buddismo tibetano del quale è monaca dal 1990. Opere principali: Il grande angolo (prosa), Feltrinelli, 1966; Harry’s Bar e altre poesie (1969-1980), Feltrinelli, 1981; Frisbees (poesie da lanciare), Campanotto, 1994 (Premio Feronia, 1995); Esoterico biliardo (prosa), Archinto, 2001; La misura del respiro (antologia, Premio speciale della giuria Lorenzo Montano), Anterem, 2002; Orienti (7 poesie) con 7 disegni di Carlo Cavallotti, Signum edizioni d’arte, 2003; Orienti (16 poesie), Fondazione Franco Beltrametti e Josef Weiss Edizioni, 2004; Ancora orienti (2 poesie), il sagittario, 2004; Le due sponde (prosa), Archinto, 2006. È presente in diverse antologie italiane e straniere.
A una donna giovane e carina
non è concesso definirsi poeta,
filosofa o quant’altro.
Le sarà permesso solo da vecchia,
quando si sarà scrollata di dosso
tutta la sua patina di desiderabilità.
Succedeva ai miei tempi e – mi dicono –
succede ancora adesso.
Da Frisbees della vecchiaia, inedito.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Alfred Palma
Alfred Palma è nato a Floriana (Malta), nel 1939, ma vive da sempre a Zabbar. Prima insegnante elementare, poi impiegato presso il Reparto Assistenza Sociale dello Stato, dal 1987 si dedica esclusivamente alla letteratura. Nel 1991 pubblica la traduzione integrale della Divina Commedia, un lavoro che lo ha impegnato dal 1966 al 1986, in una versione metrica fedele anche alle rime e gli accenti danteschi. Traduttore anche di Shakespeare (dodici commedie), Oscar Wilde (Salomé, Il ritratto di Dorian Grey, De profundis) e di Voltaire (Candido), ha pubblicato la raccolta poetica Preludi (1993) e tre novelle: Overdose (1996), Perdona i nostri peccati (1997) e Fantasmi di gesso (2008). Gli sono stati conferiti riconoscimenti a Malta e in Italia. Palma dipinge e suona il pianoforte e, poeticamente, sogna sempre un mondo migliore.
La poesia per me, con la musica e la pittura, è stata sempre un sorso di sollievo spirituale. Fin da bambino, molti anni fa, ho sempre sentito il bisogno dell’arte. Gioivo osservando il mare in tempesta, un albero, un tramonto, una rosa che sbocciava, persino una nuvola in cielo... e poi una grande voglia di scrivere poesie, di dipingere, di star solo per assorbire la voce del silenzio, e poi inondarmi di musica. Giovanissimo, incontrai molti poeti di grande calibro, maltesi, inglesi e italiani... poi Dante; la Commedia mi affascinava, sentivo un gran bisogno di tradurla in maltese, e così facendo coltivavo ancor di più la mia propensione per la poesia. Di una sensibilità tenue e delicata, cercavo sempre la catarsi per ogni mio dolore, scrivendo poesie. Taccuino e matita mi sono stati sempre a portata di mano, per catturare il momento, quel momento sublime di assoluta spiritualità. E avendo come maestro il Poeta Divino, non mi mancava niente. Come si sa, le muse sono capricciose, e quella della poesia a volte è particolarmente crudele. A volte veniva una poesia dopo l’altra, a volte niente, aridità assoluta. Ma c’erano sempre le altre due sorelle ad aspettarmi, la Musica e la Pittura, che sono sempre venute in mio aiuto quando la prima decideva di tormentarmi. Ma è sempre stato un tormento dolce, che mi ha ripagato ampiamente la fatica e il sudore, e finalmente mi ha regalato la soddisfazione e la gioia spirituale assoluta che ho cercato per tutta la mia vita.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Juana Rosa Pita
a cura di Valerio Nardoni
Juana Rosa Pita (La Habana, 1939) è poetessa, saggista e traduttrice. Dal 1961 risiede fuori da Cuba; a Washington co-fondò le Edizioni di poesia Solar e si dottorò in Letterature Ispaniche. Ha ricevuto premi internazionali come l’VIII “Ultimo Novecento” a Pisa, per la sua opera poetica integrale, e il “Letras de oro” dell’Iberian Studies Institute di Coral Gables. Tra le più note fra le sue 22 raccolte si ricordano Manual de magia (Ámbito Literario, 1979); Viajes de Penélope (Solar, 1980), pubblicato in edizione bilingue in Italia, I viaggi di Penelope (Campanotto, 2007); Plaza sitiada (Libro Libre, 1987); Más recientemente, Tela de concierto (El Zunzún Viajero 1999) e Pensamiento del tiempo (Amatori, 2005). Attualmente risiede a Boston.
Poetica e tempo
La poesia viene dopo la coscienza del tempo, cioè, del dolore. Se l’infanzia è patria e il proprio paese è perché manca di quella coscienza. Tutto ciò che la poesia forma e pronuncia conosce la perdita e la scomparsa verso cui si incammina ogni essere umano, ma le contraddice e in istanze felici le vince, perché essa conosce al di là del sogno reale che è la vita. È pur vero che i sogni sono vita, e in particolare quello della bellezza allerta che dal rovescio del tempo fa presenza e – per mezzo della parola poetica – diventa la bussola della singolare esistenza umana; giustamente in quanto breve, chiamata all’eterno e all’immortale. La poesia ha delle sagge mani d’amore e con certezza crea le figure di significato che nel tempo restano occulte nell’intricata nebbia cronologica. Da voce agli istanti che la meritano. Canta la memoria, sente e vede, rende conto del continuo sapore dell’armonia, e per tempo stringe il piacere. Le parole rinascono di emozione.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Anna Ruchat
Anna Ruchat è nata a Zurigo nel 1959. Ha studiato filosofia e letteratura. Thomas Bernhard, Paul Celan, Nelly Sachs, Victor Klemperer, Mariella Mehr, Werner Herzog, sono tra gli autori che in molti anni di attività ha tradotto dal tedesco. Insegna alla Scuola europea di traduzione del Comune di Milano. Dal 2002 si occupa della gestione dell’Archivio del poeta Franco Beltrametti. Nel 2004 è uscita la raccolta di racconti In questa vita. Nel 2005 ha pubblicato il volume di poesie Geografia senza fiume e, in collaborazione con la fotografa Elda Papa, il racconto Il male minore.
La felicità della scrittura è stare nella massima precisione, adesione e onestà verso se stessi e l’oggetto, senza prendersi troppo sul serio.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Lutz Seiler
a cura di Anna Ruchat
Lutz Seiler è nato nel 1963 a Gera, in Turingia. Dopo un apprendistato di carpentiere ha lavorato come falegname e come muratore. Nel 1990 si è laureato in germanistica e dal 1997 dirige il programma di letteratura presso la Peter-Huchel-Haus di Wilhelmshorst. Fino al 1999 ha fatto parte della redazione della rivista letteraria Moosbrand. Con Pech & Blende (Suhrkamp, 2000) ha ottenuto un successo di pubblico che per la poesia non si riscontrava da tempo in ambito tedesco. Nel 2003 è seguito il volume di poesie Vierzig kilometer nacht. Sono diversi i premi che Lutz Seiler ha ottenuto per la sua opera: nel 2002 l’Anna-Seghers-Preis, il Bremer Literaturpreis nel 2004, il premio della SWR-Bestenliste nel 2005 per la raccolta di scritti Sonntags dachte ich an Gott e per il racconto Die Anrufung. Infine, ha ottenuto il Premio Ingeborg-Bachmann nel 2007 per il volume di racconti Turksib (Suhrkamp 2008).
Mi ha sempre affascinato l’espressione tedesca das Zeitliche segnen: ‘benedire la temporalità’. Gli uomini, ma anche le cose, possono benedire la temporalità, il che equivale a dire: muoiono. Chi benedice la temporalità muore. Benedire la temporalità significa essere assolutamente d’accordo, esserlo quasi teneramente (l’espressione ha in sé una singolare dolcezza) con il trapasso, con la caducità. Singolare è anche il fatto che si continui a fare qualcosa, che si sia ancora attivi, proprio nell’istante in cui non si può più fare nulla in quanto si trapassa: si benedice. La temporalità. La poesia con ogni suo atto di presenza è alla ricerca di questi momenti di trapasso, di benedizione. La cosa affascinante è: il tempo passa.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Artur Spanjolli
Artur Spanjolli, nato nel 1970 a Durazzo, da molti anni vive a Firenze, dove svolge attività di acquarellista e di ritrattista. Una prima raccolta di poesie e prose poetiche, La notte dei cipressi stranieri, esce a Tirana nel 1994, ma già nel 1992 con cinque poesie ed un racconto vince il premio organizzato da Rai Tre “I giovani entrano in Europa”, dopo il ritiro del quale, ad Abano Terme, decide di rimanere in Italia. Si laurea in Lettere nell’anno 2000 presso l’Università di Firenze, città nella quale stringe fra l’altro una stretta amicizia col poeta Mario Luzi, che presenterà pubblicamente il suo libro successivo, il romanzo Cronaca di una vita in silenzio (Besa, 2003). Le ultime opere pubblicate sono Eduart (2005) e La Teqja (2007).
La poesia è il tempo della nostra esistenza, il tempo segreto decifrato dai poeti.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Aleš Šteger
a cura di Michele Obit
Aleš Šteger è nato nel 1973 a Ptuj, in Slovenia. Nel suo paese è uno degli autori più amati. Ha studiato Letterature comparate e Germanistica all’Università di Ljubljana, è editor, traduttore e fondatore del festival di poesia internazionale “Giornate della poesia e del vino”. Ha esordito nel 1995 con la raccolta di poesie Šahovnice ur. Seguirono poi la raccolta di saggi Kašmir (1997), un viaggio attraverso il Perù (Vcasih je Januar sredi poletja – ‘A volte è gennaio in mezzo all’estate’), e la raccolta di poesie Protuberance (2002). Attualmente vive a Ljubljana, dedicandosi a tempo pieno alla scrittura e dirigendo Koda, una prestigiosa casa editrice accademica, parte di Študentska Založba Academic Press. Le sue opere sono tradotte in più di 15 lingue.
Ci sono tempi in cui il tempo non ha più tempo. Neanche più per un gioco di parole come questo. Solo per un tempo che non è più tempo. L’atemporalità del tempo nuda, tirata via come un vestito. Un abito rosso stracciato, buttato sul pavimento di un’oscura stanza vuota. Ma niente casa. Solo l’assenza di qualsivoglia sentimento di casa.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Marcia Theophilo
Nata a Fortaleza in Brasile, Marcia Theophilo da molti anni vive anche in Italia, come rappresentante dell’Unione Brasiliana degli Scrittori e impegnata in particolare nella difesa del patrimonio naturale e culturale della foresta amazzonica, da cui proviene la famiglia paterna. Ha partecipato come poeta a molte e importanti manifestazioni in Italia e all’estero. È fra i candidati al Premio Nobel. Numerose le opere pubblicate, in Brasile e in Italia, dai racconti di Os Convites (1968) ai saggi Ritorni di un poeta assassinato (omaggio a Federico García Lorca, 1976) e Il massacro degli Indios nel Brasile di oggi (1977), al poema teatrale Arapuca (con illustrazioni di Rafael Alberti, 1979), alle raccolte di poesia: Siamo pensiero (1972), Basta che parlino le voci (con prefazione e traduzione di Ruggero Jacobbi, 1973), Canções de Outono (con illustrazioni di Rafael Alberti, 1979), Cautetê Curupira (1983, Premio Minerva), Il fiume. L’uccello, le nuvole (1987), Io canto l’Amazzonia (1982, Premio Città di Roma), I bambini giaguaro (1995, Premio Fregene), Kupahúba (2000), fino alle due più recenti Amazzonia respiro del mondo (prefazione di Mario Luzi, 2005) e Amazzonia madre d’acqua (2007), che hanno ottenuto diversi riconoscimenti fra cui il premio ‘Leggere per conoscere – Un libro per la scuola, un autore per domani’.
Nel tempo è racchiuso il mistero della perfetta struttura che sostiene e dà vita all’universo.
Fra alcuni popoli indigeni esiste un rituale sciamanico chiamato la Ruota del Sogno.
In una riunione attorno al fuoco il sognatore - sciamano - della tribù si corica con la testa verso il fuoco e dorme.
Il giorno dopo lui narra i suoi sogni che daranno il senso al quotidiano del villaggio.
Per i popoli Indios, il sogno è un momento di libertà dello spirito, i sogni rivelano un’esperienza reale vissuta nel mondo immateriale, psichico e spirituale.
È durante il sogno che integriamo le nostre esperienze emozionali della vigilia e arriviamo al nostro inconscio e alla nostra mitologia personale e archetipa.
Il panteismo non è lontano da noi, è dentro di noi, è policentrico, quando l’uomo disperso fra gli alberi, animali, fulmini, sole, luna, conviveva in un caos apparente. Gli dei si trovano fra noi, parlano dentro di noi, liberi, i piccoli folletti della foresta ci spingono ad un canto, a un ritmo fuori del tempo e delle ansie.
Ancora oggi, al tempo della macchina e dell’acciaio, della città sconfinata di luci e rumori, la gente dell’Amazzonia porta intatto nella memoria il popolo guerriero dei Tupinambàs coi loro canti, le storie, i miti, gli dei.
Ma pare impossibile il ritorno, difficile riprendere il cammino per le strade senz’alberi, morte.
Le macchine funzionano come prolungamento delle nostre braccia, gambe, cervello, viscere, ma principalmente immagini e somiglianza degli animali che si muovono in queste due foreste, quella di fili e tecnologia creata dall’uomo, e quella più remota. Dentro questa visione apocalittica la scienza non sta evolvendosi soltanto a nostro favore, né del mondo vivo.
Come quando prima di un terremoto, prima ancora che l’uomo si accorga della terra che comincia a muoversi in sordina e traditrice, gli abitanti della foresta, attenti, inquieti, s’aggirano allarmati e allarmanti. Come i fanciulli delle nuove generazioni che senza capire le cause della tragedia umana, vagano disperati in un mondo costruito dai loro antenati e imitando i delfini e le balene si suicidano.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Stefano Vincieri
Stefano Vincieri è nato a Padova nel 1954, vive tra Reggio Emilia e Firenze, titolare di un’attività di restauro e antiquariato, occupandosi anche di grafica d’arte e pittura. Ha pubblicato: L’immagine silente (prefazione di Antonio Salvatori, 1982), La semina del sonno (1985) e L’eco o la spada (prefazione di Paolo Ruffilli, 2001). Altre sue poesie sono apparse in diverse riviste e antologie.
Poesia, divorzio dal tempo.
Non abbiamo tempo per scrivere sull’argomento.
........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................
Serafettin Yildiz
a cura di Sibylle Kirchbach
Nato nel 1953 in Turchia, Serafettin Yildiz vive a Vienna dal 1978. È laureato in economia, ma lavora dal 1986 come assistente scolastico per famiglie immigrate. Dal 1991 al 1999 ha insegnato il turco presso la Pädagogische Akademie di Vienna; tiene inoltre corsi di scrittura creativa alla Schule für Dichtung in Wien e alla Sommerakademie Griechenland, ed è membro nella giuria del Premio “Schreiben zwischen den Kulturen“ (‘Scrivere tra le culture’). Numerose le sue conferenze sui problemi socio-linguistici di ambientamento nei bambini provenienti dalla Turchia. Poeta noto anche all’estero, diverse letture delle sue opere lo hanno portato in Italia, Svezia, Slovacchia, Olanda e Danimarca. Tra le sue opere spiccano Meine rotzige Hoffnung (Verlag der Apfel, 1989), Bir Deniz Boyu Öteden (Era Yayincilik-Istanbul, 1994), Der himmelblaue Gruß (Neuer Breitschopf-Verlag, 1995) e Herzfinsternis (Grasl 1998), tradotto in spagnolo col titolo Eclipse del Corazón (Primera Adición, 2001). Numerose sono anche le participazioni in antologie e riviste letterarie, nelle quali si trovano diverse sue poesie tradotte in turco, olandese, rumeno, spagnolo e slovacco.
“Il tempo”
ha tanto tempo
sono le quattro del mattino,
come se fosse semplicemente settembre,
come se il tempo alzasse il bicchiere di vino
e facesse un brindisi: Alla salute.
Il tempo, muore nel bel mezzo di una parola,
ti saluta,
come se se ne stesse andando via.
Il tempo è generoso e insieme saggio
Ascolta, Straniero!
Se cerchi un rifugio
in una capanna abbandonata di un luogo sconosciuto,
ti lascerà dei fiammiferi nascosti sul telaio della porta,
perché avrai bisogno di scaldarti forse.
Longanime, il tempo allatta la tua vita
e adotta in questo anche la tua morte,
se poi la tua gioia dormirà scoperta,
il tempo le sistemerà di nuovo le coperte.
Si cicatrizza sulle tue ferite
e per il rispetto dell’adesso arriva oggi stesso, non domani.